"Non permettiamo al Califfato di vincere sul piano culturale"
La
testimonianza di Giorgio Buccellati, archeologo e professore emerito di
Storia e Archeologia del Vicino Oriente Antico alla Ucla (Los Angeles) ricorda
il "collega e amico" Khaled Asaad, direttore del sito archeologico
di Palmira, torturato e decapitato nei giorni scorsi dai terroristi. Il
monito: lo Stato islamico vincerà se ci difenderemo solo militarmente
Daniele
Rocchi
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“Conoscevo
da circa 50 anni Asaad. Abbiamo iniziato la nostra carriera insieme. Khaled
aveva appena assunto la direzione delle Antichità di Palmira e insieme
avevamo iniziato una ricognizione del sito. Da allora siamo rimasti sempre in
contatto. Rappresentava il meglio della tradizione siriana. Un collega serio
e preparato che si faceva in quattro per risolvere ogni problema che si
poteva presentare sul piano professionale”. Giorgio Buccellati,
archeologo e professore emerito di Storia e Archeologia del Vicino Oriente
Antico alla Ucla (University of California, Los Angeles) ricorda così
l’archeologo siriano, il “collega e amico” Kahled Asaad, direttore del sito
archeologico di Palmira, torturato e decapitato nei giorni scorsi dai
terroristi del Califfato. Una vita dedicata alla scoperta, alla
valorizzazione e alla difesa della storia e dell’arte oggi minacciate sempre
più dalla furia iconoclasta dello Stato Islamico(Isis). La lista dei siti
archeologici, in Siria e Iraq (Mosul, Ninive, Hatka, Nirmud, Homs, Palmira),
distrutti dai miliziani del Califfato si allunga ogni giorno di più. L’ultimo
della serie è stato il monastero cattolico di Mar Elian a Qaryqatayn, vicino
a Homs , costruito nel V secolo d.C e raso al suolo nei giorni scorsi dai
bulldozer del Califfo.
Professore Buccellati, perché tutta questa furia rivolta dall’Isis contro archeologi, siti antichi e reperti storici? “Questa furia mostra la capacità dei terroristi di focalizzare l’attenzione su cose che hanno un valore emblematico. Il fondamentalismo teme il lavoro degli archeologi perché i valori rappresentati nel passato sono le radici del presente e per questo devono essere sradicati. L’Isis intende così dimostrare che tutto il patrimonio culturale che apprezziamo non vale nulla. Radendo al suolo i monumenti essi distruggono anche il nostro modo di rapportarci alla cultura. Per questo credo che non basti più scavare per riportare alla luce dei reperti da mettere nei libri di testo ma bisogna consegnarli al senso di identità dei popoli coinvolti”. Si può parlare di attacco alla modernità? “Questo dell’Isis è un modo superficiale e ipocrita di vedere le cose. La modernità è un valore sottoscritto - se vogliamo - anche dal Califfato. Basti pensare alla grande capacità mediatica che hanno e che è parte della modernità. La vittoria dell’Isis, in questo momento, sta proprio nel farci credere che non vale la pena difenderci sul piano dei valori ma solo su quello militare. Sarà questa la vittoria dello Stato Islamico, se glielo permetteremo”. Come rispondere a questa strategia del terrore? “Sicuramente occorre proteggerci ma senza abdicare ai nostri valori. Dobbiamo porre maggiore attenzione ai valori profondi della cultura, ai suoi significati cercando di farli arrivare non tanto all’Isis, che non ha nessuna intenzione di dialogare, quanto a tutti quei giovani chi si uniscono al Califfato. È terribile pensare a quanti giovani occidentali vadano a cercare risposte a dei presunti ideali. Ciò accade perché non diamo, politici e intellettuali in testa, delle risposte. Dovremmo essere più attenti ai valori e meno consumisti e materialisti”. Non crede che sia giunto anche il momento di porre fine al commercio di opere d’arte trafugate col quale i terroristi finanziano le loro attività criminali? “Resta difficile capire come l’Isis - isolato e circondato - possa avere dei canali di vendita di reperti e soprattutto di petrolio. Una statuetta, una tavoletta cuneiforme possono essere trasportate in una valigetta. Ma come si fa a esportare così tanti barili di greggio? C’è una forte ipocrisia nella nostra politica che non riesce, perché non vuole, fermare questo traffico, cosa che sarebbe assolutamente possibile. Lo stesso potrebbe dirsi sul piano militare: la Siria è un Paese completamente aperto, perché allora non vengono fermati i convogli dei quali si vedono facilmente foto. Da dove arrivano le armi, i camion, i furgoni? Possibile che non si riesca a vedere l’origine di questo traffico? Non esiste una volontà effettiva di bloccare il Califfato ma solo una grande ipocrisia, una intenzionale volontà di frammentare la Siria per rendere possibile una vittoria temporanea dell’Isis che porterà di fatto a un stravolgimento della geografia del Paese”. |