domenica 6 maggio 2012

MAGDALA


Volontari nella città della Maddalena

di Carlo Giorgi | maggio-giugno 2012 da www.terrasanta.net


Cercansi volontari per accogliere i pellegrini nel sito archeologico della Maddalena. Esistono molti modi di fare volontariato in Terra Santa: c'è chi intreccia gemellaggi con comunità cristiane locali e chi pota gli ulivi secolari dei conventi della Custodia; chi sostiene il Caritas Baby Hospital di Betlemme (o altre istituzioni) e chi fa adozioni a distanza.
Da oggi è possibile prepararsi a una nuova forma di volontariato: quello della «custodia archeologica». All’inizio del 2013, infatti, verrà aperto al pubblico il sito dell’antica città di Magdala, sulle sponde del lago di Tiberiade. Per garantirne l’apertura è stata lanciata una specifica campagna «di reclutamento» di volontari. Magdala, la città di Maria Maddalena, la donna di cui parlano i Vangeli, sorgeva a pochi chilometri da Cafarnao, nella regione in cui il Signore predicava il regno dei cieli, ammaestrava le folle e guariva. Sui resti di Magdala, che ai tempi di Gesù era un importante centro di almeno 30 mila abitanti, gli archeologi della Custodia lavorano da decenni, e gli scavi hanno riservato sorprese incredibili: ad esempio, è stata scoperta un’antica sinagoga, un luogo di culto in cui è plausibile che Cristo stesso abbia pregato il Padre; sono tornate alla luce le terme di epoca romana della cittadina, sia quelle maschili sia quelle femminili. E nelle terme femminili sono state trovate fiale di profumo ancora intatte. Fiale che non possono che farci pensare al passo evangelico in cui una donna, forse la Maddalena stessa, versa commossa profumo sui piedi del Signore.
Il sito di Magdala, insomma, potrebbe diventare una meta immancabile per i pellegrinaggi cristiani del prossimo futuro. Il problema è, ora, di garantirne l’apertura. In questa prospettiva appare provvidenziale l’accordo stretto tra Custodia di Terra Santa e Ufficio pellegrinaggi della diocesi di Vicenza; un accordo per cui l’organismo della città veneta si è offerto di formare e inviare volontari in Terra Santa, con la finalità di soddisfare le esigenze legate all’apertura al pubblico.
«Quando posso, nei periodi di pausa dei miei studi, vado a Magdala ad aiutare negli scavi - racconta don Gianantonio Urbani, sacerdote vicentino che si sta specializzando in scienze bibliche ed archeologia presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme -. Proprio grazie a questa conoscenza diretta, ci siamo resi conto che ci sarebbe stato bisogno di aiuto per la gestione del sito archeologico. Siamo dell’idea che sia importante che le Chiese locali, come la nostra di Vicenza, possano lavorare direttamente con la Custodia. E l’amore per i luoghi santi ci ha spinti ad offrirci come volontari».
Nell’accordo da poco approvato dal discretorio della Custodia di Terra Santa, l’Ufficio pellegrinaggi vicentino si impegna anche a curare una proposta biblico - pastorale rivolta ai futuri visitatori di Magdala; proposta che procede su tre filoni biblici precisi: Gesù e le donne, Gesù e il lago, Gesù e il cammino in Galilea.
Intanto, il «reclutamento» dei volontari procede: lo scorso marzo è stato organizzato un convegno dal titolo Magdala Project Open Seminar, a cui hanno partecipato oltre cento possibili volontari: ex-pellegrini, studenti, pensionati, professori...

Per informazioni è possibile contattare l’Ufficio pellegrinaggi vicentino:
email: pellegrinaggi@diocesi.vicenza.it - tel. 0444.32.71.46

SCOPERTE


L'ANTICA CAPITALE FU SCOPERTA NEL 1812

Petra i 200 anni della «città rosa»

Si faceva chiamare cheikh Ibraihim, conosceva l’arabo, viveva tra Aleppo e Damasco, spacciandosi per un mercante. Divenne musulmano dopo aver studiato il Corano e l’Oriente islamico, ma il primo - e forse unico - amore della sua breve carriera di esploratore (morì al Cairo a soli 33 anni di età) fu l’Africa. Nel 1809 mise a punto una spedizione che avrebbe dovuto cercare le sorgenti del fiume Niger, missione che fu lo scopo della sua vita. Non arrivò mai alle fonti che sgorgano dai monti Loma, tra Guinea e Sierra Leone. Ma girovagando per Siria, Giordania ed Egitto alla ricerca di carovane in viaggio verso il cuore dell’Africa nera, incappò in alcune scoperte sensazionali.

Percorrendo la strada tra Damasco e Il Cairo, passando per la Giordania (la cosiddetta "via dei re" che raggiunge Aqaba e poi, attraverso il Sinai, la capitale egiziana), Johann Ludwig Burckhardt (questo il vero nome del nostro esploratore), aveva sentito favoleggiare di una mitica città perduta stretta tra le rocce di Wadi Musa, una località dall’indubbio sapore biblico. Si era allora finto un pellegrino sulla strada della Mecca e aveva ottenuto di essere accompagnato alla tomba che la tradizione identifica con quella del profeta Aronne per sacrificare un capretto, alla sommità di una vetta chiamata Jebel Haroun.

Era il 22 agosto 1812: insieme ad una guida locale cheikh Ibrahim potè penetrare nel siq, il lungo canyon naturale che porta al cosiddetto Tesoro del Faraone (la tomba nabatea immortalata nel celebre film Alla ricerca dell’Arca perduta) e che costituisce l’ingresso dell’antica città dei nabatei. Il naturalista e orientalista di origini svizzere (formatosi però in Germania, Austria e Inghilterra, con una specializzazione a Cambridge), probabilmente sopraffatto da ciò che vedevano i suoi occhi, non riuscì neppure a fare qualche schizzo delle meraviglie della "città rosa", come usavano i viaggiatori del tempo. Tuttavia diffuse la notizia tra gli studiosi e gli europei presenti in Medio Oriente ed in Egitto e ne scrisse nel suo diario di viaggi intitolato Travels in Syria and the Holy Land, pubblicato dopo la sua morte.

L’esplorazione delle fonti del Niger restava però la sua priorità. Risalì allora il Nilo, e tra le sabbie di Dongola scoprì quasi per caso il tempio di Abu Simbel; viaggiò attraverso la Nubia, raggiunse Mecca e Medina, esplorò la penisola del Sinai. Fiaccato da febbri e dissenteria, fu costretto a ritornare al Cairo, dove morì nel 1817. Venne sepolto in un cimitero musulmano, con il nome arabo che lo aveva accompagnato nelle sue peregrinazioni in Medio Oriente e Nordafrica.

Già qualche anno dopo la sua morte, le prime missioni archeologiche iniziarono a lavorare a Petra, portando alla luce i resti dell’epoca idumea, i tesori del periodo nabateo, la città romana, le rovine dell’epoca bizantina, le fortificazioni dell’epoca crociata.

«Ci sono pochi siti archeologici al mondo più famosi di Petra», spiega padre Eugenio Alliata, archeologo dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. «In seguito alla sua riscoperta, nel 1812, la fama di questa città perduta è andata sempre più crescendo, e così anche la nostra conoscenza dei nabatei, la popolazione che ha praticamente creato questa realtà». Venuti dal deserto nel VI secolo a.C., i nabatei trasformarono la città, difesa da una chiostra di montagne che la rendono inaccessibile, prima in un centro di transito per le carovane impegnate a trasportare le spezie, le gemme e gli ori dell’Oriente verso il Mediterraneo. Infine nella capitale di un regno che rivaleggiò per cultura e ricchezze con le città ellenistiche (IV-I secolo a.C.) fino alla sottomissione da parte dei romani sotto l’imperatore Traiano (106 d.C.).

Visitare oggi Petra, a 200 anni dalla sua restituzione al mondo, con i suoi monumenti, i suoi palazzi, i suoi teatri, i suoi templi, significa spalancare gli occhi su una civiltà che ha saputo trasformare il deserto in un luogo vivibile, attraverso una sapiente gestione delle risorse idriche. Significa accostarsi ad una religione pre-islamica (i nabatei erano politeisti) affascinante e per molti versi misteriosa. Ma ci permette anche di accostarci ad un contesto geografico dove sono continui i richiami biblici e dove si formò una antica e fiorente comunità cristiana. «Giudicando dalle fonti storiche e dai resti archeologici - prosegue padre Alliata - il cristianesimo dovette introdursi abbastanza presto nella regione, forse già prima di Costantino (IV secolo d.C.), continuare ancora per qualche tempo dopo l’arrivo dell’islam (634 d.C.), e riprendere durante l’epoca crociata (XII secolo) con la costruzione di castelli sia in Petra medesima che nella vicina Shobak».

Tra i ritrovamenti più importanti in ambito cristiano, la scoperta, in una stanzetta laterale della basilica, di 152 rotoletti di papiro: contratti commerciali, moduli di tasse, promesse di matrimonio, dove i nomi delle persone manifestano l’influenza della tradizione biblica sovrapposta all’eredità nabatea.

«Petra - scrisse Lawrence d’Arabia un secolo dopo le imprese di Burckhardt - è il più bel luogo della terra. Non per le sue rovine, ma per i colori delle sue rocce, tutte rosse e nere con strisce verdi e azzurre, quasi dei piccoli corrugamenti, e per le forme delle sue pietre e guglie, e per la sua fantastica gola, in cui scorre l’acqua sorgiva e che è larga appena quanto basta per far passare un cammello». Ancora oggi, per essendo un miracolo fragile (le minacce vengono soprattutto dall’incedere del tempo e dai fenomeni dell’erosione), per le decine di migliaia di viaggiatori che la affollano ogni anno la magia si ripete.

Giuseppe Caffulli
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