venerdì 31 luglio 2020

31 luglio, memoria liturgica di Sant'Ignazio di Loyola


Ignazio Lopez di Loyola (Loyola 1491 – Roma, 31 luglio 1556) era un cavaliere impetuoso e avventuroso. Ferito nell’assedio di Pamplona, durante la convalescenza, non trovando letture cavalleresche di cui era appassionato, scoprì  Cristo nel Vangelo e nella vita dei santi (Leggenda Aurea di Giacomo da Varazze) e volle darsi a Cristo nella Chiesa. Maturò la sua conversione nel monastero di Montserrat, e gettò le basi del suo celebre libro, gli «Esercizi spirituali». Studiò filosofia e teologia a Parigi, dove fondò la «Compagnia di Gesù», e a Venezia, dove divenne sacerdote. Stabilitosi a Roma, pose la sua «compagnia», a disposizione del Papa per la difesa della fede, la riforma della Chiesa, l’opera missionaria. Si capisce Ignazio alla luce del suo profondo spirito di dedizione, della mistica del «servizio», del suo ottimismo e dinamismo orientati «alla maggior gloria di Dio» nella Chiesa e per la Chiesa. Scrisse il «il racconto del pellegrino» (nn. 94-95) dove elencò i luoghi visitati in direzione Gerusalemme. Spero di far cosa gradita ai miei conterranei vicentini nel riportare i passaggi dove parla di Vicenza, che visitò nel 1537.


[94] In quell’anno non salparono navi per l’Oriente perché i Ve­neziani avevano rotto le relazioni con i Turchi. Perciò i compagni, vedendo che la possibilità di quel viaggio si allontanava sempre più, si sparsero per il territorio veneto. Come ne avevano fatto voto, vi avrebbero atteso l’imbarco per un anno, e se questo fosse tra­scorso senza poter intraprendere la traversata, sarebbero andati a Roma. Il pellegrino andò, con Favre e Laínez, a Vicenza. Trovaro­no, fuori città, una casa che non aveva porte né finestre; vi presero alloggio dormendo sopra un pò di paglia che avevano portato. Due di loro andavano regolarmente a chiedere elemosina in cit­tà due volte al giorno; ma quello che ricevevano era così scarso che quasi non bastava per vivere. Di solito mangiavano un poco di pancotto, quando l’avevano, e lo cucinava colui che rimaneva in casa. Trascorsero in questo modo quaranta giorni, dedicandosi solo alla preghiera.

[95] Dopo questi quaranta giorni arrivò il maestro Giovanni Co­dure. Allora tutti e quattro decisero di cominciare a predicare. Si recarono in quattro diverse piazze e, lo stesso giorno, la stessa ora, dopo avere chiamato la gente a gran voce e facendo segni con la berretta, ciascuno cominciò la sua predica. Questi discorsi susci­tarono profonda impressione in città; molte persone ne furono in­fervorate e i compagni ebbero i necessari mezzi di sostentamento con maggiore larghezza. Diversamente da come accadde a Parigi, nel periodo in cui rimase a Vicenza il pellegrino ebbe molte visioni spirituali e frequenti, anzi quasi continue consolazioni. Soprattutto quando si preparava a ricevere il sacerdozio, a Venezia, poi ogni volta che si accingeva a celebrare la messa, e durante tutti quei viaggi ebbe molte comunicazioni soprannaturali simili a quelle che riceveva quando era a Manresa. Mentre era ancora a Vicenza venne a sapere che uno dei compagni [Simone Rodrigues], che si trovava a Bassano, era ammalato e in punto di morte. Anche lui in quel periodo aveva la febbre, tuttavia si mise in viaggio; e cammi­nava così svelto che Favre, suo compagno, non riusciva a tenergli dietro. Durante il viaggio ebbe la certezza da parte di Dio - e lo disse a Favre - che il loro compagno non sarebbe morto di quella malattia. Al suo arrivo a Bassano, l’infermo si sentì molto conforta­to e guarì rapidamente. In seguito tornarono tutti a Vicenza e per qualche tempo stettero insieme tutti e dieci. Alcuni andavano a cercare elemosina nei villaggi intorno a Vicenza.

(Fonte: Sant'Ignazio di Loyola, Il racconto del pellegrino, pubblicazione dei Gesuiti d'Italia 2014)

 Vicenza. Porta Nuova. A destra l'effige di Sant'Ignazio e a sinistra l'effige di René Descartes

Vicenza. Porta Nuova. In primo piano l'effige di Sant'Ignazio di Loyola