giovedì 29 novembre 2018

IMPORTANTE DECISIONE DELL'UNESCO - I MURI A SECCO O MASIERE


Art of dry stone walling, knowledge and techniques
L’arte del muro a secco, conoscenza e tecniche

Croatia, Cyprus, France, Greece, Italy, Slovenia, Spain and Switzerland. Inscribed in 2018 (13.COM) on the Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity.


The art of dry stone walling concerns the knowhow related to making stone constructions by stacking stones upon each other, without using any other materials except sometimes dry soil. Dry stone structures are spread across most rural areas – mainly in steep terrains – both inside and outside inhabited spaces, though they are not unknown in urban areas. The stability of the structures is ensured through the careful selection and placement of the stones, and dry-stone structures have shaped numerous, diverse landscapes, forming various modes of dwelling, farming and husbandry. Such structures testify to the methods and practices used by people from prehistory to today to organize their living and working space by optimizing local natural and human resources. They play a vital role in preventing landslides, floods and avalanches, and in combating erosion and desertification of the land, enhancing biodiversity and creating adequate microclimatic conditions for agriculture. The bearers and practitioners include the rural communities where the element is deeply rooted, as well as professionals in the construction business. Dry stone structures are always made in perfect harmony with the environment and the technique exemplifies a harmonious relationship between human beings and nature. The practice is passed down primarily through practical application adapted to the particular conditions of each place.

La traduzione in lingua italiana della decisione UNESCO:
 
L'arte del muretto a secco riguarda il know-how relativo alla realizzazione di costruzioni in pietra accatastando pietre l'una sull'altra, senza l'utilizzo di altri materiali, eccetto qualche zolla di terreno asciutto. Le strutture in pietra a secco sono distribuite in gran parte nelle aree rurali - principalmente in terreni scoscesi - sia all'interno che all'esterno degli spazi abitati, sebbene non siano sconosciuti anche nelle aree urbane. La stabilità delle strutture è assicurata dall’attenta selezione e posizionamento delle pietre, e le strutture in pietra a secco hanno modellato numerosi e diversi paesaggi, formando vari modi di abitazione, agricoltura e allevamento. Tali strutture testimoniano i metodi e le pratiche utilizzate dalle persone dalla preistoria ad oggi per organizzare il loro spazio di vita e di lavoro ottimizzando localmente le risorse naturali e umane. Svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione delle frane, delle inondazioni e delle valanghe e nella lotta all’erosione e alla desertificazione della terra, aumentando la biodiversità e creando condizioni microclimatiche adeguate per l’agricoltura. I portatori e i praticanti di questo tipo di tradizione includono le comunità rurali in cui l’azione è profondamente radicata, così come i professionisti del settore delle costruzioni. Le strutture in pietra a secco sono sempre realizzate in perfetta armonia con l’ambiente e la tecnica esemplifica un rapporto armonioso tra uomo e natura. La pratica viene tramandata principalmente attraverso l’applicazione pratica adattata alle condizioni particolari di ogni luogo.

Confronta l'articolo sul Corriere della Sera:

Penso che la comunità scientifica possa accogliere con un grande plauso questa decisione dell’UNESCO di iscrivere presso il “Patrimonio culturale intangibile” l’arte della costruzione dei muretti a secco presso le colline e le montagne. Come recita la  motivazione dell’iscrizione, qui tradotta anche in lingua italiana, “Tali strutture testimoniano i metodi e le pratiche utilizzate dalle persone dalla preistoria ad oggi per organizzare il loro spazio di vita e di lavoro ottimizzando localmente le risorse naturali e umane”.

Da parte mia desidero aggiungere che sia l’Università di Padova che il carissimo e compianto prof. Terenzio Sartore di Marano Vicentino, con il suo gruppo di lavoro, discussero molto e promossero questo ambiente e questa archeologia del territorio. A suo tempo il prof. Sartore si dedicò alla cultura tradizionale del nostro territorio vicentino, attraverso un lavoro corale con il Gruppo di Ricerca sulla Civiltà rurale e scrivendo degli importanti volumi, editi dall’Accademia Olimpica di Vicenza, la “Civiltà rurale di una valle veneta. La Val Leogra” (1976) e “La sapienza dei nostri padri. Vocabolario tecnico-storico del dialetto del territorio vicentino” (2002). Questi due testi parlano con un grande respiro anche dei terrazzamenti, dei muretti a secco, le così dette masière, che non sono altro che dei muri a secco, sistemati lungo le colline e le montagne per il contenimento e la coltivazione del terreno. Altro gruppo di lavoro però legato all’Università di Padova è promosso dal prof. Armando De Guio, che nella rivista Post Classical Archaeologies, diretta dal prof. Brogiolo e dalla prof.ssa Chavarria Arnau, compose a più mani, un articolo dal titolo: «Remote sensing e archeologia di un paesaggio marginale» (cfr. PCA 5/2015).
Gli autori: De Guio, Migliavacca, Deiana e Strapazzon, discutendo sulla alta Val Leogra in Provincia di Vicenza, così si esprimono: «un’area ricca di attestazioni antropiche databili dall’antichità ai giorni nostri sia per la facile accessibilità dalla pianura, sia per la ricchezza di risorse offerte, specie nella parte meridionale…lo dimostra anche una foto aerea, datata 1958, dove è evidente una fitta serie di terrazzamenti ricollegabili ad almeno due fasi diverse. Detti localmente rive o nore, i terrazzamenti erano strette strisce di terreno normalmente comprese tra due masière, muri a secco di contenimento; esistevano pero anche i ciglioni, scarpate senza muri, realizzate con cospicuo spostamento di terra, ma con ridotta regolazione idrica. Il terrazzamento dei pendii, fino a costituire dei veri e propri gradoni, serie di ripiani irregolari, sostenuti da scarpata a ciglioni o da muri a secco, era funzionale infatti anche alla regolazione delle acque di cui la zona e ricchissima, sia per sorgenti naturali sia per l’elevata piovosità. I terrazzamenti sono collegabili per la maggior parte ad una agricoltura povera che strappava spazi sui ripidi pendii dove la neve rimaneva per mesi; ma vi si ricavavano anche prati da sfalcio, connessi all’allevamento del bestiame che alle quote intorno ai 600 metri poteva ricorrere ad aree di sosta sfruttate nelle stagioni intermedie (masi, stavoli o maggenghi), prima di salire alle quote montane per il pascolo estivo…» (pagg. 246-247).

Grazie quindi ai nostri ricercatori e studiosi per questo contributo di memoria e tradizione che, assieme alla decisione dell’organismo ONU per la cultura, ci rendono universali nelle conoscenze e nelle pratiche sul territorio.

Gianantonio Urbani
Studium Biblicum Franciscanum - Gerusalemme


Seguono alcune immagini provenienti da alcune valli del Vicentino che testimoniano la cultura dell'utilizzo dei muri a secco:

 Valle Agno (VI) - Località Pelade - resti di muro a secco

 Valle Leogra (VI) - località Tretto - muro a secco lungo il torrente

Valle Leogra (VI) - località Tretto - muro a secco aggiunto per il contenimento