giovedì 24 settembre 2020

INCONTRIAMO L' ARCHEOLOGIA. Primo appuntamento. Che cosa è rimasto?

 

Quando cerchiamo di capire una civiltà, una delle prime testimonianze sono i resti delle attività svolte dagli uomini e dalle donne in un determinato luogo. Una delle prime azioni, a volte molto efficaci, è la ricognizione archeologica sul terreno. Si tratta di operare una ispezione diretta (o autoptica) di porzioni di territorio ben definite, fatta in modo da garantire una copertura uniforme e controllata di tutte le zone. Si percorre a piedi una zona guardando il terreno ma facendo attenzione anche al costruito (i così detti alzati), come questo suolo è stato impiegato nelle epoche precedenti. Ci si rende subito conto come i resti di attività svolte dall’uomo del passato ci circondino ovunque, siano essere recenti che, come spesso succede in Terra Santa, o anche antichissime. Un esempio è il deserto. Anni or sono partecipai ad una missione archeologico-ricognitiva organizzata dal prof. Emmanuel Anati nell’area di Har Karkom nel cuore del deserto del sud di Israele. Fu un’esperienza unica perché il prof. Anati ci raccordò subito una certa fiducia invitandoci a considerare l’attività umana dell’uomo del deserto come un aspetto cruciale per comprendere il contesto di un reperto che abitulmente si trova in superficie. Quindi attorno a un reperto (un oggetto antico fatto a mano o modellato dalla natura) vi è la matrice (cioè tutto il resto del materiale che lo circonda) e la sua posizione sono in stretto contatto tra di loro. Ricordo come vicino ad una incisione rupestre vidi anche spuntare un fiore straordinario in mezzo a pietre roventi. È un segno che il deserto fu anche in alcune fasi un ambiente fertile e ricco di piante. Abbiamo scoperto quanto significativi siano ancora questi “testimoni” presenti sul terreno (e purtroppo ogni tanto assistiamo a furti dei viaggiatori di passaggio che pensano di portarsi a casa un souvenir!) che mostrano le tracce dell’antropizzazione e dell’attività umana fatta di gente che raccolse, lavorò, si diede alla caccia e alla pastorizia, innalzò all’Altissimo i pensieri del cuore e dell’intelligenza. Possiamo dire che è rimasto molto perché il deserto conserva molto! Non solo la terra nella sua profondità ci conserva dei reperti ma anche la superficie, e oggi ci restituisce dei materiali sui quali si possono studiare l’utilizzo operato dall’uomo. Nel nostro caso, e cioè di materiali prevalentemente di pietra, possiamo capirne l’acquisizione, l’utilizzazione, la manifattura e dopo il periodo più o meno lungo di utilizzo, lo scarto. Questo aspetto lo possiamo rilevare anche con gli altri materiali quali la ceramica, il ferro, il rame-bronzo e gli altri materiali più preziosi. Ci si chiede cosa rimarrà della nostra cultura odierna e il rimasto sul terreno che troveranno i nostri posteri tra qualche millennio. Forse dei tablet? Delle carcasse di smartphone, uno schermo del pc? Un altro esempio mirabile di conservazione in ambiente arido sono le sepolture, come quelle dei faraoni ad esempio. Ci è giunta, pur già saccheggiata in antico, la tomba del faraone Tutankhamon. Si è capito come il corredo tombale non era originariamente tutto destinato al faraone. Una parte era stata disposta per altri membri della famiglia, e poi era stata utilizzata in gran fretta quando il giovane re morì improvvisamente. Di lui si crede una morte violenta. C’erano anche oggetti commoventi, come una sedia che il re aveva usato da bambino, e un semplice bastoncino di giunco con la scritta: «un giunco che Sua Maestà ha tagliato con le sue mani». Le condizioni del deserto hanno permesso una ottima conservazione. Ci è rimasto molto considerando i millenni che sono passati!

La montagna di Har Karkom nel deserto del Negev


Il prof. E. Anati mentre esamina un'incisione rupestre del deserto


L'incisione rupestre cosidetta "Tavole della legge" ad Har Karkom


Che cosa è rimasto? Un ortostato, probabilmente di un'azione votiva.

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