Vi propongo un'articolo di Giuseppe Caffulli, direttore della Rivista "Terra Santa". Con coraggio e chiarezza riporta alla ribalta un problema spinoso: la salvaguardia dei siti archeologichi in un contesto di guerra e devastazione.
«Primavera»
di devastazioni
Il fatto è di poche settimane fa. E
contribuisce a dare la dimensione del dramma che tocca e sfigura luoghi e
persone nella Siria sconvolta dalla cosiddetta Primavera araba. Il Krak dei
Cavalieri, uno dei monumenti più insigni del Paese, gioiello dell’architettura
crociata, patrimonio dell’Unesco, è divenuto roccaforte degli insorti
anti-Assad. E per questa ragione il castello medioevale è ora obiettivo da
riconquistare (anche a suon di cannonate) da parte dell’esercito siriano. Il
che espone il sito, che sorge non lontano dalla martoriata Homs, al rischio
concreto di lesioni gravissime, capaci di compromettere per sempre uno dei
luoghi-simbolo della Siria. Che la guerra metta a repentaglio anche il patrimonio
artistico e archeologico delle nazioni coinvolte, non è una novità. Lo abbiamo
tragicamente constatato nel 2003 con il saccheggio del Museo e dell’Archivio
nazionale di Bagdad, che provocò la dispersione di tesori di cultura accumulati
per secoli. E in seguito con la distruzione dei Buddha di Bamiyan a opera i
talebani in Afganistan. Per non parlare della guerra dei Balcani, che negli
anni Novanta ha distrutto o seriamente danneggiato, secondo fonti Unesco, 175
monumenti, 23 monasteri medievali e numerose chiese ortodosse e moschee
antiche, oltre a interi centri storici di importanti città.
Il tema della distruzione del patrimonio artistico e archeologico si ripropone in tutta la sua portata e gravità nel Medio Oriente attraversato dalla Primavera araba. «In questa piccola porzione del globo – spiega padre Eugenio Alliata, archeologo presso lo Studio Biblico Francescano di Gerusalemme – sono nate, hanno compiuto i primi passi e si sono sviluppate quasi tutte le religioni, scienze, tecniche e culture. Prima l’Iraq, poi l’Egitto e ora la Siria, sono entrati uno dopo l’altro in momenti difficili. Israele, Libano e Palestina ci stavano già da tempo. Guerre e rivoluzioni usano trascinarsi dietro una catena di tragedie umane di fronte alle quali tutto il resto appare necessariamente ridimensionato. Ma noi archeologi non possiamo non restare con il fiato sospeso di fronte ai rischi che il patrimonio culturale dell’umanità corre in queste aree». L’Egitto, per esempio. Da quando è scoppiata la rivolta di Piazza Tahrir, le autorità locali hanno avuto il loro bel daffare a contenere i rischi per l’immenso patrimonio artistico e archeologico. Dal Cairo a Luxor, da Aswan al Sinai, decine di musei e di siti archeologici sono stati saccheggiati. Centinaia di reperti millenari sono stati trafugati. E non si sa cosa ancora potrà accadere se il Paese non tornerà in fretta alla normalità. Sono state violate anche le piramidi: i danni maggiori a Saqqara, dove si trovano la piramide a gradoni del faraone Djoser e numerose mastabe (tombe tronco-piramidali) ornate da meravigliosi bassorilievi.
In questo quadro di forte instabilità, c’è da chiedersi che fine potrebbero fare siti come Palmira o Dura Europos, in Siria. O ancora gioielli d’epoca romana e bizantina come Apamea e Bosra, sopravvissuti al dominio islamico, ma forse mai come ora in pericolo. Per non parlare delle cosiddette "città morte", a nord di Aleppo, testimoni di una lunga e fiorente presenza cristiana nel Paese. «Allo stato attuale nessuno può dirlo – riprende padre Alliata –. Le battaglie a colpi di cannoni e granate distruttrici di vite umane a Homs e a Hama, in Siria, in che stato lasceranno i mosaici romani e bizantini riportati alla luce negli anni precedenti in queste come in altre città della valle dell’Oronte? Il celebre archeologo francescano padre Michele Piccirillo, scomparso nel 2008, nei suoi ultimi anni aveva fatto molto per la conservazione e divulgazione di tali artefatti e così anche, lungo tutta una vita, il nostro padre Pasquale Castellana deceduto in Aleppo a 90 anni di età il 28 aprile scorso. Antichità e reliquie del passato appartengono ad una categoria di elementi fragili, conservati spesso per caso, che facilmente e per caso rischiano di scomparire di nuovo nel nulla».
Se la situazione della Siria provoca ansia, qualche segnale di speranza viene da un altro contesto segnato dal conflitto, quello israelo-palestinese. La tutela e la conservazione del patrimonio artistico e archeologico, specie nei Territori occupati, non è per nulla scontata. E si inserisce in una disputa tutta politica che strumentalizza i beni culturali per avvalorare la propria presenza e i propri diritti di primogenitura sulla Terra Santa. Nonostante tutto, però, qualche passo avanti è stato fatto, a dispetto dello stallo del cosiddetto "processo di pace". «A Sebastiya, l’antica Samaria – prosegue l’archeologo – è a buon punto il recupero architettonico e ambientale del santuario della Tomba di Giovanni Battista, grazie alla cooperazione di istituzioni e organismi internazionali. A Nablus il Patriarcato greco ortodosso ha portato a termine e rimesso a nuovo la chiesa del pozzo di Giacobbe, detto anche "della Samaritana". Nella stessa città si prepara, da parte di una missione congiunta olandese e palestinese, la ripresa degli scavi di Tell Balata, corrispondente alla biblica Sichem».
E ancora: «Sulla strada tra Gerico e Gerusalemme è stato aperto un nuovo Museo, presso l’Albergo del Buon Samaritano, dove sono esposti preziosi mosaici e altri elementi di chiese e sinagoghe (tanto ebraiche quanto samaritane) ritrovate dagli archeologi israeliani lungo gli anni passati in diverse parti della Giudea e Samaria e di Gaza. Nella città di Gerico è ricominciata intanto l’attività dell’Università romana della Sapienza, dopo un’interruzione durata una decina di anni in seguito alla seconda intifada, e il Tell es-Sultan è di nuovo visitabile dai turisti, guidati da una ordinata presentazione dei resti archeologici».
La situazione di grave instabilità del Medio Oriente, oltre a minacciare i principali siti archeologici, getta un’ombra sinistra anche sul futuro delle missioni archeologiche nell’area. Un allarme in merito è arrivato qualche giorno fa da Chianciano, dove si è svolto (dal 13 al 15 luglio) nel contesto del Festival nazionale dell’archeologia il convegno su "Mediterraneo, archeologia tra crisi e conflitti". L’Egitto, la Libia, la Siria – hanno spiegato gli organizzatori – si trovano in una situazione che non ha precedenti nella storia recente. L’impegno delle università, delle istituzioni e dei governi nel finanziare le missioni archeologiche va ben al di là degli interessi nazionali. L’impossibilità di portare a termine, a causa delle rivolte arabe, progetti avviati da tempo o di chiudere scavi importanti in un’area che non a caso è definita la "culla delle civiltà", consegnerà alle generazioni future una minor conoscenza della nostra storia e delle nostre radici, con una conseguente minor capacità di leggere e immaginare il futuro.
Il tema della distruzione del patrimonio artistico e archeologico si ripropone in tutta la sua portata e gravità nel Medio Oriente attraversato dalla Primavera araba. «In questa piccola porzione del globo – spiega padre Eugenio Alliata, archeologo presso lo Studio Biblico Francescano di Gerusalemme – sono nate, hanno compiuto i primi passi e si sono sviluppate quasi tutte le religioni, scienze, tecniche e culture. Prima l’Iraq, poi l’Egitto e ora la Siria, sono entrati uno dopo l’altro in momenti difficili. Israele, Libano e Palestina ci stavano già da tempo. Guerre e rivoluzioni usano trascinarsi dietro una catena di tragedie umane di fronte alle quali tutto il resto appare necessariamente ridimensionato. Ma noi archeologi non possiamo non restare con il fiato sospeso di fronte ai rischi che il patrimonio culturale dell’umanità corre in queste aree». L’Egitto, per esempio. Da quando è scoppiata la rivolta di Piazza Tahrir, le autorità locali hanno avuto il loro bel daffare a contenere i rischi per l’immenso patrimonio artistico e archeologico. Dal Cairo a Luxor, da Aswan al Sinai, decine di musei e di siti archeologici sono stati saccheggiati. Centinaia di reperti millenari sono stati trafugati. E non si sa cosa ancora potrà accadere se il Paese non tornerà in fretta alla normalità. Sono state violate anche le piramidi: i danni maggiori a Saqqara, dove si trovano la piramide a gradoni del faraone Djoser e numerose mastabe (tombe tronco-piramidali) ornate da meravigliosi bassorilievi.
In questo quadro di forte instabilità, c’è da chiedersi che fine potrebbero fare siti come Palmira o Dura Europos, in Siria. O ancora gioielli d’epoca romana e bizantina come Apamea e Bosra, sopravvissuti al dominio islamico, ma forse mai come ora in pericolo. Per non parlare delle cosiddette "città morte", a nord di Aleppo, testimoni di una lunga e fiorente presenza cristiana nel Paese. «Allo stato attuale nessuno può dirlo – riprende padre Alliata –. Le battaglie a colpi di cannoni e granate distruttrici di vite umane a Homs e a Hama, in Siria, in che stato lasceranno i mosaici romani e bizantini riportati alla luce negli anni precedenti in queste come in altre città della valle dell’Oronte? Il celebre archeologo francescano padre Michele Piccirillo, scomparso nel 2008, nei suoi ultimi anni aveva fatto molto per la conservazione e divulgazione di tali artefatti e così anche, lungo tutta una vita, il nostro padre Pasquale Castellana deceduto in Aleppo a 90 anni di età il 28 aprile scorso. Antichità e reliquie del passato appartengono ad una categoria di elementi fragili, conservati spesso per caso, che facilmente e per caso rischiano di scomparire di nuovo nel nulla».
Se la situazione della Siria provoca ansia, qualche segnale di speranza viene da un altro contesto segnato dal conflitto, quello israelo-palestinese. La tutela e la conservazione del patrimonio artistico e archeologico, specie nei Territori occupati, non è per nulla scontata. E si inserisce in una disputa tutta politica che strumentalizza i beni culturali per avvalorare la propria presenza e i propri diritti di primogenitura sulla Terra Santa. Nonostante tutto, però, qualche passo avanti è stato fatto, a dispetto dello stallo del cosiddetto "processo di pace". «A Sebastiya, l’antica Samaria – prosegue l’archeologo – è a buon punto il recupero architettonico e ambientale del santuario della Tomba di Giovanni Battista, grazie alla cooperazione di istituzioni e organismi internazionali. A Nablus il Patriarcato greco ortodosso ha portato a termine e rimesso a nuovo la chiesa del pozzo di Giacobbe, detto anche "della Samaritana". Nella stessa città si prepara, da parte di una missione congiunta olandese e palestinese, la ripresa degli scavi di Tell Balata, corrispondente alla biblica Sichem».
E ancora: «Sulla strada tra Gerico e Gerusalemme è stato aperto un nuovo Museo, presso l’Albergo del Buon Samaritano, dove sono esposti preziosi mosaici e altri elementi di chiese e sinagoghe (tanto ebraiche quanto samaritane) ritrovate dagli archeologi israeliani lungo gli anni passati in diverse parti della Giudea e Samaria e di Gaza. Nella città di Gerico è ricominciata intanto l’attività dell’Università romana della Sapienza, dopo un’interruzione durata una decina di anni in seguito alla seconda intifada, e il Tell es-Sultan è di nuovo visitabile dai turisti, guidati da una ordinata presentazione dei resti archeologici».
La situazione di grave instabilità del Medio Oriente, oltre a minacciare i principali siti archeologici, getta un’ombra sinistra anche sul futuro delle missioni archeologiche nell’area. Un allarme in merito è arrivato qualche giorno fa da Chianciano, dove si è svolto (dal 13 al 15 luglio) nel contesto del Festival nazionale dell’archeologia il convegno su "Mediterraneo, archeologia tra crisi e conflitti". L’Egitto, la Libia, la Siria – hanno spiegato gli organizzatori – si trovano in una situazione che non ha precedenti nella storia recente. L’impegno delle università, delle istituzioni e dei governi nel finanziare le missioni archeologiche va ben al di là degli interessi nazionali. L’impossibilità di portare a termine, a causa delle rivolte arabe, progetti avviati da tempo o di chiudere scavi importanti in un’area che non a caso è definita la "culla delle civiltà", consegnerà alle generazioni future una minor conoscenza della nostra storia e delle nostre radici, con una conseguente minor capacità di leggere e immaginare il futuro.
Giuseppe
Caffulli