Art of dry
stone walling, knowledge and techniques
L’arte del
muro a secco, conoscenza e tecniche
Croatia, Cyprus, France, Greece, Italy, Slovenia, Spain
and Switzerland. Inscribed
in 2018 (13.COM) on the Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity.
The art of dry stone
walling concerns the knowhow related to making stone constructions by stacking
stones upon each other, without using any other materials except sometimes dry
soil. Dry stone structures are spread across most rural areas – mainly in steep
terrains – both inside and outside inhabited spaces, though they are not
unknown in urban areas. The stability of the structures is ensured through the
careful selection and placement of the stones, and dry-stone structures have
shaped numerous, diverse landscapes, forming various modes of dwelling, farming
and husbandry. Such structures testify to the methods and practices used by
people from prehistory to today to organize their living and working space by
optimizing local natural and human resources. They play a vital role in
preventing landslides, floods and avalanches, and in combating erosion and
desertification of the land, enhancing biodiversity and creating adequate
microclimatic conditions for agriculture. The bearers and practitioners include
the rural communities where the element is deeply rooted, as well as professionals
in the construction business. Dry stone structures are always made in perfect
harmony with the environment and the technique exemplifies a harmonious
relationship between human beings and nature. The practice is passed down
primarily through practical application adapted to the particular conditions of
each place.
La traduzione in lingua italiana della decisione UNESCO:
L'arte del muretto a
secco riguarda il know-how relativo
alla realizzazione di costruzioni in pietra accatastando pietre l'una
sull'altra, senza l'utilizzo di altri materiali, eccetto qualche zolla di terreno
asciutto. Le strutture in pietra a secco sono distribuite in gran parte nelle
aree rurali - principalmente in terreni scoscesi - sia all'interno che
all'esterno degli spazi abitati, sebbene non siano sconosciuti anche nelle aree
urbane. La stabilità delle strutture è assicurata dall’attenta selezione e
posizionamento delle pietre, e le strutture in pietra a secco hanno modellato
numerosi e diversi paesaggi, formando vari modi di abitazione, agricoltura e
allevamento. Tali strutture testimoniano i metodi e le pratiche utilizzate
dalle persone dalla preistoria ad oggi per organizzare il loro spazio di vita e
di lavoro ottimizzando localmente le risorse naturali e umane. Svolgono un
ruolo fondamentale nella prevenzione delle frane, delle inondazioni e delle
valanghe e nella lotta all’erosione e alla desertificazione della terra,
aumentando la biodiversità e creando condizioni microclimatiche adeguate per l’agricoltura.
I portatori e i praticanti di questo tipo di tradizione includono le comunità
rurali in cui l’azione è profondamente radicata, così come i professionisti del
settore delle costruzioni. Le strutture in pietra a secco sono sempre realizzate
in perfetta armonia con l’ambiente e la tecnica esemplifica un rapporto
armonioso tra uomo e natura. La pratica viene tramandata principalmente
attraverso l’applicazione pratica adattata alle condizioni particolari di ogni
luogo.
Confronta l'articolo sul Corriere della Sera:
Penso che la
comunità scientifica possa accogliere con un grande plauso questa decisione
dell’UNESCO di iscrivere presso il “Patrimonio culturale intangibile” l’arte
della costruzione dei muretti a secco presso le colline e le montagne. Come
recita la motivazione dell’iscrizione,
qui tradotta anche in lingua italiana, “Tali
strutture testimoniano i metodi e le pratiche utilizzate dalle persone dalla
preistoria ad oggi per organizzare il loro spazio di vita e di lavoro
ottimizzando localmente le risorse naturali e umane”.
Da parte mia
desidero aggiungere che sia l’Università di Padova che il carissimo e compianto
prof. Terenzio Sartore di Marano Vicentino, con il suo gruppo di lavoro, discussero
molto e promossero questo ambiente e questa archeologia del territorio. A suo
tempo il prof. Sartore si dedicò alla cultura tradizionale del nostro
territorio vicentino, attraverso un lavoro corale con il Gruppo di Ricerca sulla Civiltà rurale e scrivendo degli importanti
volumi, editi dall’Accademia Olimpica di Vicenza, la “Civiltà rurale di una valle veneta. La Val Leogra” (1976) e “La sapienza dei nostri padri. Vocabolario
tecnico-storico del dialetto del territorio vicentino” (2002). Questi due
testi parlano con un grande respiro anche dei terrazzamenti, dei muretti a secco,
le così dette masière, che non sono
altro che dei muri a secco, sistemati lungo le colline e le montagne per il
contenimento e la coltivazione del terreno. Altro gruppo di lavoro però legato
all’Università di Padova è promosso dal prof. Armando De Guio, che nella
rivista Post Classical Archaeologies,
diretta dal prof. Brogiolo e dalla prof.ssa Chavarria Arnau, compose a più
mani, un articolo dal titolo: «Remote sensing e archeologia di un paesaggio
marginale» (cfr. PCA 5/2015).
Gli autori: De Guio, Migliavacca, Deiana e Strapazzon, discutendo sulla
alta Val Leogra in Provincia di Vicenza, così si esprimono: «…un’area ricca di
attestazioni antropiche databili dall’antichità ai giorni nostri sia per la
facile accessibilità dalla pianura, sia per la ricchezza di risorse offerte,
specie nella parte meridionale…lo dimostra anche una foto aerea, datata 1958,
dove è evidente una fitta serie di terrazzamenti ricollegabili ad almeno due
fasi diverse. Detti localmente rive o nore, i terrazzamenti erano strette
strisce di terreno normalmente comprese tra due masière, muri a secco di contenimento; esistevano pero anche i
ciglioni, scarpate senza muri, realizzate con cospicuo spostamento di terra, ma
con ridotta regolazione idrica. Il terrazzamento dei pendii, fino a costituire
dei veri e propri gradoni, serie di ripiani irregolari, sostenuti da scarpata a
ciglioni o da muri a secco, era funzionale infatti anche alla regolazione delle
acque di cui la zona e ricchissima, sia per sorgenti naturali sia per l’elevata
piovosità. I terrazzamenti sono collegabili per la maggior parte ad una
agricoltura povera che strappava spazi sui ripidi pendii dove la neve rimaneva
per mesi; ma vi si ricavavano anche prati da sfalcio, connessi all’allevamento
del bestiame che alle quote intorno ai 600 metri poteva ricorrere ad aree di sosta
sfruttate nelle stagioni intermedie (masi, stavoli o maggenghi), prima di
salire alle quote montane per il pascolo estivo…» (pagg. 246-247).
Grazie quindi ai nostri ricercatori e studiosi per questo
contributo di memoria e tradizione che, assieme alla decisione dell’organismo
ONU per la cultura, ci rendono universali nelle conoscenze e nelle pratiche sul
territorio.
Gianantonio Urbani
Studium Biblicum Franciscanum -
Gerusalemme
Seguono alcune immagini provenienti da alcune valli del Vicentino che testimoniano la cultura dell'utilizzo dei muri a secco:
Valle Agno (VI) - Località Pelade - resti di muro a secco
Valle Leogra (VI) - località Tretto - muro a secco lungo il torrente
Valle Leogra (VI) - località Tretto - muro a secco aggiunto per il contenimento