Nato a Stridone (probabilmente presso Aquileia), si
procurò una eccellente istruzione a Roma, che completò lungo tutta la vita,
anche in numerosi viaggi nei quali incontrò e strinse amicizia con alcuni fra i
più famosi e colti Padri orientali. Battezzato a 25 anni, sacerdote a 38,
Girolamo sembrava impastato di opposti: temperamento di fuoco intriso di lacrime,
era suscettibile ma leale, austero e appassionato, sferzante e tenero,
precipitoso e retto; viveva di digiuno, di lavoro, di preghiera, di veglie.
Queste doti, l’enorme erudizione, le cinque lingue che padroneggiava, l’amore a
Cristo e alla Chiesa, ne fecero uno scrittore di prim’ordine, il migliore dei
Padri latini. Lottò tutta la vita a dominare se stesso; la sua virtù maschia e
la sua pietà furono contagiose: trasse molte grandi anime a seguire Cristo da
vicino.
Il primo periodo della sua vita fu una lunga serie di viaggi in Occidente e in
Oriente, di esperienze di vita monastica, di penitenze, di studi, e si chiuse a
Roma dove divenne segretario di papa Damaso, che lo incaricò di preparare una
completa Bibbia in latino, rivedendo traduzioni anteriori, o facendone delle
nuove. Il secondo periodo, dopo la morte del papa (385) e una più breve serie
di viaggi in Oriente, lo vide a Betlemme, tutto dedito alla sacra Scrittura: a
tradurre, a commentare.
Usava il tempo libero per dirigere un gruppo femminile che aveva iniziato
all’ascesi a Roma e che l’aveva seguito in Terrasanta. Visse a Betlemme con lo
spirito del Calvario, congiungendo tenerezza per Gesù bambino e per Maria con
lo spasimo per il crocifisso. La vastissima produzione letteraria e la
competenza biblica, lo pongono fra i maggiori dottori della Chiesa latina,
patrono dei biblisti.
«E’ necessario che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione
cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (DV 21). Questo voto
del Concilio sta diventando consolante realtà. Il nuovo abbondante Lezionario
della Messa e della Liturgia delle ore è destinato a recare frutti abbondanti
alla Chiesa. San Girolamo ci persuada che «ignorare le Scritture è ignorare
Cristo» (cf DV 25).
L'ignoranza delle
Scritture è ignoranza di Cristo
Dal «Prologo al commento del Profeta Isaia» di san
Girolamo, sacerdote
(Nn. 1. 2; CCL 73, 1-3)
Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture»
(Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai
Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di
Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell'apostolo Paolo, Cristo è potenza di
Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la
potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare
Cristo.
Perciò voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose
nuove e vecchie, e così anche la Sposa, che nel Cantico dei Cantici dice: O mio
diletto, ho serbato per te il nuovo e il vecchio (cfr. Ct 7, 14 volg.). Intendo
perciò esporre il profeta Isaia in modo da presentarlo non solo come profeta,
ma anche come evangelista e apostolo. Egli infatti ha detto anche di sé quello
che dice degli altri evangelisti: «Come sono belli sui monti i piedi del
messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace» (Is 52, 7). E Dio rivolge a
lui, come a un apostolo, la domanda: Chi manderò, e chi andrà da questo popolo?
Ed egli risponde: Eccomi, manda me (cfr. Is 6, 8).
Ma nessuno creda che io voglia esaurire in poche parole l'argomento di questo
libro della Scrittura che contiene tutti i misteri del Signore. Effettivamente
nel libro di Isaia troviamo che il Signore viene predetto come l'Emmanuele nato
dalla Vergine, come autore di miracoli e di segni grandiosi, come morto e
sepolto, risorto dagli inferi e salvatore di tutte le genti. Che dirò della sua
dottrina sulla fisica, sull'etica e sulla logica? Tutto ciò che riguarda le
Sacre Scritture, tutto ciò che la lingua può esprimere e l'intelligenza dei
mortali può comprendere, si trova racchiuso in questo volume. Della profondità
di tali ministeri dà testimonianza lo stesso autore quando scrive: «Per voi
ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia
leggere, dicendogli: Leggio. Ma quegli risponde: Non posso, perché è sigillato.
Oppure si dà il libro a chi non sa leggere, dicendogli: Leggio, ma quegli
risponde: Non so leggere» (Is 29, 11-12).
(Si tratta dunque di misteri che, come tali, restano chiusi e incomprensibili
ai profani, ma aperti e chiari ai profeti. Se perciò dai il libro di Isaia ai
pagani, ignari dei libri ispirati, ti diranno: Non so leggerlo, perché non ho
imparato a leggere i testi delle Scritture. I profeti però sapevano quello che
dicevano e lo comprendevano). Leggiamo infatti in san Paolo: «Le ispirazioni
dei profeti devono essere sottomesse ai profeti» (1 Cor 14, 32), perché sia in
loro facoltà di tacere o di parlare secondo l'occorrenza.
I profeti, dunque, comprendevano quello che dicevano, per questo tutte le loro
parole sono piene di sapienza e di ragionevolezza. Alle loro orecchie non
arrivavano soltanto le vibrazioni della voce, ma la stessa parola di Dio che parlava
nel loro animo. Lo afferma qualcuno di loro con espressioni come queste:
L'angelo parlava in me (cfr. Zc 1, 9), e: (lo Spirito) «grida nei nostri cuori:
Abbà, Padre» (Gal 4, 6), e ancora: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore»
(Sal 84, 9).