"L'amato mio è per me un grappolo di cipro nelle vigne di Engaddi" (Ct 1,14).
Si esprimono così le Scritture nel Cantico dei Cantici dove si parla della località di Engaddi, lett. "Fonte del Capretto", sulla riva ovest del Mar Morto, con un'oasi fertile in cui crescevano, secondo alcuni testi, il balsamo e la palma. A tutt'oggi la palma la si trova abbondande, come altre piante aromatiche, come il capretto (ibex) o stambecco del deserto, come gli iràci ed una fonte d'acqua buonissima.
Questo è stato il contesto della nostra visita escursionistica fatta domenica 26 febbraio presso il parco nazionale di Ein Gedi sulla sponda del Mar Morto.
Partiamo da una doverosa "teologia degli animali" come ben riferisce il teologo-biblista, il prof. Paolo De Benedetti. Andiamo a vedere questo curioso animale, citato nelle Scritture nel libro dei Proverbi:
Quattro esseri sono fra le cose più piccole della terra,
eppure sono più saggi dei saggi:
le formiche sono un popolo senza forza,
eppure si provvedono il cibo durante l’estate;
gli iràci sono un popolo imbelle,
eppure hanno la tana sulle rupi;
le cavallette non hanno un re,
eppure marciano tutte ben schierate;
la lucertola si può prendere con le mani,
eppure penetra anche nei palazzi dei re.
(Proverbi 30,24-28)
...nostro fratello iràce
...mentre si ciba delle prime gemme degli alberi
...con sguardo attento ed imbelle
E veniamo a noi, pellegrini sui sentieri del Signore:
Ed infine ecco ancora gli abitanti di questa magnifica oasi nel deserto
In un tempo come questo, con tante incognite ed il futuro incerto, bisogna ritornare a domandare, a porre domande serie e profonde sull'uomo, su Dio, sulla vita e la morte...
Ecco la Parola di Dio in Isaia, commentata e canzonata dal grande Francesco Guccini.
Dal Libro del Profeta Isaia 21,11-12
11 Oracolo sull’Idumea.
Mi gridano da Seir:
«Sentinella, a che punto è la notte? Sentinella, quanto resta della notte?». 12 La sentinella risponde:
«Viene il mattino, poi ancora la notte;
se volete domandare, domandate,
convertitevi, tornate!».
“Un verso di Isaia (capitolo 21, versetti 11 e 12), shomér ma mi-llailah è alla base della canzone omonima. Il verso è misterioso. Significa: “Sentinella, a quanto della notte, a che punto è la notte?” Isaia, uno di quei profeti che minacciano in continuazione e lanciano fuoco e fiamme, all’improvviso si lascia andare in questo verso bellissimo e altamente poetico, di grande speranza. La sentinella risponde: “La notte sta per finire ma l’alba non è ancora arrivata. Tornate, domandate, insistete”.
“C’è sempre stata, pudica, sottile, nelle mie canzoni, una domanda sull’infinito, sul senso ultimo delle cose. Ma da agnostico, da vago panteista e spiritualista quale sono, da uomo che non crede nell’esistenza dell’anima ma forse coglie un fondo di infinitezza, di immortalità nel nostro destino, mi fermo alla domanda, all’interrogativo. L’importante è, però, che questa domanda non cessi mai, perché è uno dei sintomi preziosi della nostra vitalità come uomini.”
Francesco Guccini – Shomèr ma mi-llailah
La notte è quieta senza rumore, c’è solo il suono che fa il silenzio
e l’ aria calda porta il sapore di stelle e assenzio,
le dita sfiorano le pietre calme calde d’ un sole, memoria o mito,
il buio ha preso con sè le palme, sembra che il giorno non sia esistito…
Io, la vedetta, l’ illuminato, guardiano eterno di non so cosa
cerco, innocente o perchè ho peccato, la luna ombrosa
e aspetto immobile che si spanda l’ onda di tuono che seguirà
al lampo secco di una domanda, la voce d’ uomo che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell…
Sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace,
non so più dire da quanto sento angoscia o pace,
coi sensi tesi fuori dal tempo, fuori dal mondo sto ad aspettare
che in un sussurro di voci o vento qualcuno venga per domandare…
e li avverto, radi come le dita, ma sento voci, sento un brusìo
e sento d’ essere l’ infinita eco di Dio
e dopo innumeri come sabbia, ansiosa e anonima oscurità,
ma voce sola di fede o rabbia, notturno grido che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell…
La notte, udite, sta per finire,
ma il giorno ancora non è arrivato
sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato.
Ma io veglio sempre, perciò insistete,
voi lo potete: ridomandate!
Tornate ancora se lo volete, non vi stancate!
Cadranno i secoli, gli dèi e le dee,
cadranno torri, cadranno regni
e resteranno di uomini e idee polvere e segni. Ma ora capisco il mio non capire,
che una risposta non ci sarà
che la risposta sull’avvenire
è in una voce che chiederà:
- Shomér ma mi-llailah?
Shomér ma mi-lell?
Shomér ma mi-llailah, ma mi-lell?
Grande intervento del Padre Custode Pierbattista Pizzaballa all'Università di Tel Aviv.
Potete seguire questo breve video:
venerdì 10 febbraio 2012
Scholars offer new explanation for rare Temple artifact in Jerusalem
Object, at the northwestern corner of the Temple Mount, was initially thought to read 'Daka LeYa,' which means 'pure to God' in Aramaic.
By Nir Hasson
A new interpretation is being put forward for the inscription on a tiny clay object, only a week after it was touted as the first archaeological find to confirm written testimony of ritual practices at Jerusalem's Temple.
The object, discovered in an archaeological survey at the northwestern corner of the Temple Mount, was initially thought to read "Daka LeYa," which means "pure to God" in Aramaic.
Excavators Prof. Ronny Reich of the University of Haifa and Dr. Eli Shukron of the Israel Antiquities Authority told a press conference last week that this was a seal used to mark objects used in the Temple as ritually pure, and that such a seal is mentioned in the Mishna.
But Prof. Shlomo Naeh of the Hebrew University's Talmud department believes the inscription could be read differently. "I was sitting with my son and looking at the photograph, and in a moment of intuition, I realized what it could be," he told Haaretz Tuesday.
Naeh also believes the object is related to Temple worship and purity, but reads the inscription differently, as "Dakar a Leyehoyariv." Dakar in Aramaic means ram and a stands for aleph, the first day of the week, when the priestly order of Yehoyariv was on duty in the Temple.
Thus, the object was used in Temple worship, but not how Reich and Shukron believe it was, says Naeh. To ensure the purity of animal sacrifices offered in the Temple - and to maintain an economic monoply, Naeh believes - pilgrims had to buy their offerings in the Temple courts. They gave money to a treasurer who would exchange it for a token inscribed with the type of sacrifice they had purchased and the date.
Like Reich and Shukron, Naeh supports his theory with a mishnaic verse citing the existence of such tokens. With regard to Reich and Shukron's interpretation, he said: "Purity was very fluid; the touch of an impure person was enough to make the object impure, so it is unlikely such a seal existed."
He also said the object could not be a seal because it lacked a hole for a thread or a handle to affix it to another object.
"People have been saying the ancient sages fantasized everything about the Temple. But ... they knew what they were talking about. For me, this is uplifting. The sages of the Mishna, my guys, win out," Naeh said.
(from “Haaretz 4.01.2012)
Ritrovamenti nel materiale di scarico avvenuto nella proprietà francescana lungo i pendii a est del Monte del Tempio
Dal sito: sbf.custodia.org
L’area più bassa del pendio sul lato orientale del Monte del Tempio verso la valle del Cedron non è mai stata scavata in modo sistematico perché è considerata il confine dell’antica città di Gerusalemme. Nei mesi di marzo e aprile 2009, sui pendii a est del Monte del Tempio, in una zona di proprietà dei padri francescani, si stavano svolgendo lavori di risanamento in preparazione di una messa del Pontefice che si sarebbe dovuta svolgere nella zona durante la visita del Papa Benedetto XVI a Gerusalemme nel maggio del 2009. Questi lavori richiesero di scavare le terrazze del pendio. I lavori furono supervisionati da un ispettore dell’Israel Antiquities Authority (IAA), per assicurare che nessun resto archeologico fosse danneggiato. Furono rinvenuti reperti in diversi punti, e lo scavo fu interrotto. In un’area ai piedi del pendio, gli archeologi scavarono in profondità nella terrazza e scoprirono un’ampia sezione del pendio in cui si potevano vedere vari strati. Tra gli strati vi era un deposito di rifiuti risalenti al tardo periodo del Secondo Tempio che facevano parte di una grande discarica della città di quel periodo. Una sezione simile di questa discarica fu trovata circa 420 m a sud di questo luogo da Ronnie Reich ed Eli Shukrun che la identificarono come la Discarica della Città di Gerusalemme del tardo periodo del Secondo Tempio. Nello stesso posto, fra i rifiuti del periodo del Secondo Tempio, sono stati anche individuati i resti di una tomba. La sepoltura probabilmente risale al periodo bizantino.
Per riportare i detriti dal luogo di sepoltura alla sua posizione originaria e ristrutturare il muro della terrazza, gli scavatori hanno realizzato profonde fondamenta per costruire un muro di contenimento. Esaminando la sezione della trincea e il materiale rimosso da essa, è apparso che la trincea ha invaso una discarica del periodo del Primo Tempio nella metà superiore, e un deposito di rifiuti del periodo tardo del Secondo Tempio nella parte inferiore.
La sezione della trincea e il materiale estratto hanno rivelato una grande quantità di frammenti di ceramiche e ossa che sembravano provenire da una discarica del periodo del Primo Tempio. Vicino alla fossa sono state rinvenute macerie di pietre appartenenti ad un grande edificio costruito su roccia fresca. Non è chiaro se queste pietre erano in loco o parte di un muro crollato.
Il terreno della trincea è stato trasportato al Tzurim Valley National Park per il Progetto di Setaccio del Monte del Tempio per ulteriori esami. Il controllo del materiale di entrambe le sezioni della trincea, quella a nord (P56-N) e quella a sud (P56-S) ha dato numerosi frammenti di ceramica, ossa, forni, vetro, utensili e schegge di pietra focaia, ecc. Le analisi quantitative del numero e della densità di questi reperti hanno mostrato proporzioni insolite rispetto ad altri contesti archeologici, dato che indica che i detriti setacciati si sono originati da aggregati di rifiuti.
Le analisi quantitative della distribuzione e della classificazione dei ritrovamenti hanno anche prodotto informazioni preziose quando sono state confrontate ad altri siti a Gerusalemme e fuori. I rifiuti del periodo del Primo Tempio contengono grandi quantità di utensili per servire e bere, mentre brocche e orci per provviste sono stati trovati in bassa percentuale. Sono inoltre presenti molte ossa segate di altri siti.
Gli aggregati di rifiuti del periodo del secondo Tempio sono formati da una grande quantità di recipienti per cucinare, frammenti di forni e vetro, mentre lampade e brocche sembrano essere presenti in una percentuale molto bassa. Di merci importate ce ne sono poche e sono stati trovati solo pochi cocci riconducibili ad altri siti di Gerusalemme in cui appaiono in percentuali dell’1% - 2%. Questa bassa quantità corrisponde ai risultati di altri studi condotti su rifiuti, secondo cui gli articoli di valore appaiono meno di frequente negli aggregati dei rifiuti secondari che tra i depositi primari.
I rifiuti del tardo periodo del Secondo Tempio erano simili alla sezione studiata da Reich e Shukrun nel 2003 ma anche diversi in alcuni dettagli. La discarica del Monte del Tempio aveva un’alta percentuale di frammenti di vetro e di vasi e una bassa percentuale di lampade ad olio rispetto alla sezione sud.
Le ceramiche del periodo del Primo Tempio risalgono all’età del ferro IIA (decimo-nono secolo a.C.) - età del ferro IIB (ottavo secolo), mentre le ceramiche del periodo del Secondo Tempio sono datate al secondo secolo a.C.-primo secolo d.C. La presenza delle ceramiche delle prime fasi della II età del ferro è stata sorprendente a causa della scarsità di tali resti a Gerusalemme, specialmente fuori della città di Davide. La ragione di tale scarsità risiede nel fatto che la grande maggioranza dei ritrovamenti archeologici generalmente proviene da strati di rovine che segnano la fine di un periodo. Per questa ragione il rinvenimento di ceramiche di tutti i periodi della II età del ferro rafforza l’ipotesi che i reperti siano rifiuti e non normali depositi che di solito rappresentano la fine di un’occupazione. Le discariche, infatti, possono mostrare la continuità di insediamento nel lungo periodo.
Oltre a queste ceramiche sono stati rinvenuti altri reperti speciali Sei bolle/sigilli in creta e uno in osso, alcuni in stile egiziano e sembra che risalgano al nono-ottavo secolo a.C. Una bolla reca l’iscrizione: “[גֺ]בעןֺ/לֺמלך” (“Gibeon per il Re”) e può essere datata all’ottavo secolo o agli inizi del settimo secolo a.C. La bolla appartiene ad una tipologia particolare chiamata “Bolle Fiscali”, usate per segnalare le tasse sulle merci inviate al Re di Giuda. Sono inoltre presenti frammenti di anse di vasi con stampi di argilla, decine di frammenti di statuette in argilla, un frammento di una statuetta in osso che rappresenta un alto livello di tecnica di incisione espressa nella raffigurazione del viso di un uomo, un frammento di un braccio ed un palmo che stringe una clava di una statuetta in terracotta. Si presume che rappresentasse la statuetta di Ercole con la clava. Questi ritrovamenti suscitano qualche domanda. Quali erano i modelli di trattamento dei rifiuti durante il periodo del Primo Tempio e il tardo periodo del Secondo Tempio? I rifiuti erano prodotti dal Monte del Tempio? Cosa si può dedurre della popolazione che produsse questi rifiuti?
Queste domande sorgono specialmente per il fatto che sono pochi i riferimenti biblici riguardo alla presenza di rifiuti nella Valle del Cedron nei pressi del Monte del Tempio (vedi Re1 15,11-14; 2Re 23,4-12; 2Cr 29,15; 2Cr 30,14; Ger 31,40). Questi resoconti e l’esistenza di tale discarica vicino al corso d’acqua della Valle del Cedron sulla sua riva ovest e i suoi ritrovamenti eccezionali possono indicare che i rifiuti nella fossa rinvenuti provenivano dal Monte del Tempio.
Si pensa che ulteriori scavi nel sito e nelle zone circostanti faranno più luce sull’attività che si svolgeva sul Monte del Tempio e sui modelli di smaltimento dei rifiuti dei periodi del Primo e del Secondo Tempio.
Adattamento: R.P.
Fonte: Z. Dvira, G. Zigdon and L. Shilov, The Temple Mount Sifting Project (28,12,2011)
MALTA. SCOPERTA UN’AGATA CON ISCRIZIONI CUNEIFORMI DEL II MILLENNIO A.C.
Nel corso degli scavi condotti a Tas-Silg dalla missione archeologica della Sapienza diretta da Alberto Cazzella, con la collaborazione dell’Università di Foggia (Giulia Recchia), è stato rinvenuto un manufatto in agata frammentario con iscrizione cuneiforme.
L’iscrizione cuneiforme, interpretata da padre Werner Mayer del Pontificio Istituto Biblico di Roma, risale al XIII secolo a.C. ed è riferibile alla città di Nippur, in Mesopotamia. Si tratta quindi di una presenza del tutto eccezionale in quanto costituisce l’iscrizione cuneiforme del II millennio a.C. trovata più a occidente - come sottolinea la docente di Storia del Vicino oriente Antico, Maria Giovanna Biga.
La presenza di un manufatto esotico in agata nel santuario di Tas-Silg negli ultimi secoli del II millennio (tarda età del Bronzo), sicuramente considerato di valore sebbene con una scritta presumibilmente non comprensibile a chi l’aveva ottenuta, fa comunque pensare che il santuario potesse già costituire un punto di riferimento cultuale più ampio rispetto a una scala strettamente locale, come fu poi sicuramente in età fenicia e romana.
L’agata, non reperibile in Mesopotamia, doveva essere considerato un materiale prezioso ed è comunque eccezionale il suo uso per realizzare un oggetto votivo. Non sono ancora disponibili analisi sulla sua provenienza, ma i possibili luoghi di estrazione del materiale si trovano sia a oriente della Mesopotamia (India), sia a occidente: è forse solo una coincidenza che nell’antichità fosse conosciuta un’area di estrazione nella Sicilia sud-orientale, presso il fiume Dirillo, dal cui nome greco Achates deriva il termine stesso che ancora utilizziamo per indicare l’agata.
Resta comunque aperto il problema di come l’oggetto sia arrivato a Malta: verosimilmente uscì dal tempio di Nippur in seguito a un saccheggio da parte di un popolo in guerra con i babilonesi ed è probabile che da questo arrivò nelle mani di mercanti ciprioti o micenei, che in quel periodo intrattenevano intense relazioni di scambio con la Sicilia e il Mediterraneo centrale in genere; e che questi mercanti abbiano portato l’oggetto dal Vicino Oriente a Malta.
Nell’iscrizione un gruppo di persone dedica il prezioso oggetto a forma di crescente lunare, considerato un’immagine del dio della luna Sin, a una divinità della città di Nippur (Ninurta). Ninurta fu per un lungo periodo la divinità principale di Nippur, in seguito sostituita da Enlil, e secondo una tradizione Ninurta era il figlio del dio della luna. Nippur fu un’importante città santa, con molti templi, tra cui quello dedicato a Ninurta, denominato Eshumesha, su cui abbiamo dai testi numerose informazioni. La città fu anche sede di una rinomata scuola di scribi, ai quali dobbiamo numerosi testi letterari.
Le ricerche sono rese possibili dalla piena disponibilità della Superintendence of Cultural Heritage di Malta, diretta dal Dott. Anthony Pace.
Il santuario di Tas-Silg rappresenta un caso non comune di uso continuativo di un edificio di culto dal III millennio a.C. fino all’età bizantina. Fu tempio megalitico del Neolitico tardo, di cui si conservano tracce rilevanti; fu poi trasformato nella cella di un santuario fenicio-punico, dedicato ad Astarte, come scoprirono le archeologhe della Sapienza Antonia Ciasca e Maria Giulia Amadasi che per prime scavarono il sito negli anni ’60; divenne poi un luogo di culto romano dedicato a Giunone, e infine in epoca bizantina un battistero.
Quella di Tas-Silg è una storia di eccezionale longevità paragonabile, dal punto di vista della lunga continuità d’uso di un edificio sacro, al caso della moschea degli Omayyadi a Damasco: quest’ultimo il tempio di un dio della tempesta del I millennio a.C. divenne un luogo di culto dedicato a Giove in età romana, poi una chiesa cristiana e infine una moschea.
I livelli storici del santuario di Tas-Silg sono stati portati alla luce per la prima volta dagli scavi degli anni ’60 della Missione Archeologica Italiana a Malta della Sapienza e dell’Università Cattolica di Milano. Dal 2003 sono stati avviati gli scavi della Sapienza finalizzati all’indagine dei livelli preistorici (III e II millennio a.C.), nell’ambito di una ripresa delle ricerche sul terreno insieme con altre sedi universitarie, che si occupano delle fasi storiche (Maria Pia Rossignani, Università Cattolica di Milano; Grazia Semeraro, Università del Salento).
PER INFO:
Alberto Cazzella, docente di Paletnologia
alberto.cazzella@uniroma1.it
E’ appena stato pubblicato il volume “Francesco e il Sultano. Atti della Giornata di Studio (Firenze, 25 settembre 2010)”, in Studi Francescani 108/3-4 (2011). Il testo è importante perché davanti a tante letture anacronistiche - per non dire a volte proprio ideologiche - dell'incontro tra san Francesco e il Sultano, riporta una serie di studi che affrontano le fonti con un approccio critico. Nell’introduzione al volume Padre Pietro Messa, Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum, ha scritto: “San Francesco e il Sultano: basta solo il titolo per dire l’attualità del tema trattato nella Giornata di studio organizzata a Firenze dalla Provincia dei Frati Minori della Toscana. Certo c’è da riconoscere che il nesso della tematica con problematiche e domande del momento presente non è stato assente nella mente degli organizzatori e neppure dei numerosi partecipanti a tale incontro di studio”. “Tuttavia proprio la cosiddetta “attualità” del tema trattato ha reso il tutto più difficile, o meglio ha richiesto un maggior accorgimento. Infatti in casi simili è facile cadere in anacronismi più o meno espliciti per cui si legge un testo datato – ma quale testo non è datato? in fondo lo sono tutti! – usando espressioni o categorie estranee allo stesso”. “Nel caso presente riferendosi a frate Francesco o al sultano Melik Al Kamel si sentono, ad esempio, usare espressioni quali dialogo interreligioso, scontro di civiltà, ecumenismo, interculturalità e altre ancora tipiche del momento attuale e che più o meno volontariamente sono proiettate sul passato trovando così in esso – in un vero e proprio gioco di specchi – una attualità che può essere sia in positivo che in negativo”. “Simile alla questione degli anacronismi è quella dello spostamento semantico, per cui medesime parole, gesti, spazi o fatti assumono con il variare di tempi, luoghi o culture significati diversi”. “Tutto questo si è cercato di tener presente in fase di programmazione della giornata di studio San Francesco e il Sultano di cui ora vengono presentati gli Atti. C’è da riconoscere che non è stato facile perché la pressione culturale, sia da parte di singole persone che gruppi, è stata notevole. Soltanto la consapevolezza che ciascuna epoca è responsabile delle risposte che da alle varie occasioni o sfide del tempo presente e che il passato al massimo può offrire elementi che possono essere ritenuti come un aiuto – ma anche un ostacolo in certi casi – per affrontare la contemporaneità”. “Fondamentalmente si è cercato di comprendere, a partire dalle fonti, “cosa è stato in sé” l’avvenimento dell’incontro tra Francesco d’Assisi e il Sultano – e questo grazie soprattutto alle relazioni di Giuseppe Ligato, Anna Ajello, e Pacifico Sella – per poi passare alla considerazione di “cosa è diventato”, ossia il significato assunto nei diversi periodi e in ciò importanti sono stati gli interventi di Chiara Frugoni e John Tolan”. “Certamente non tutti i temi sono stati affrontati, anzi si sono aperti altri campi di indagine quali ad esempio il significato del “desiderio di martirio” presente nella vicenda non solo di frate Francesco, ma anche Chiara d’Assisi e Fernando da Lisbona divenuto Antonio di Padova (e in ciò importante il volume “Dai Protomartiri francescani a sant’Antonio di Padova” Atti della Giornata di Studio, Centro Sudi Antoniani, Padova 2011)”. “Altro tema interessante da approfondire è se, e se sì con quale la modalità, l’episodio dell’incontro tra il Santo di Assisi e il Sultano è stato rappresentato nell’arte cinematografica che un ruolo importante ha avuto nell’ultimo secolo nella diffusione della conoscenza della vicenda di san Francesco”.
colgo l'occasione del blog per augurare a tutti un sereno inizio di Anno Nuovo!
Riporto qualche stralcio del messaggio di Papa Benedetto XVI per la giornata mondiale della Pace.
Buon Anno!
don Giana
Alzare gli occhi a Dio
Di fronte alla difficile sfida di percorrere le vie della giustizia e della pace possiamo
essere tentati di chiederci, come il Salmista: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà
l’aiuto?» (Sal 121,1).
A tutti, in particolare ai giovani, voglio dire con forza: «Non sono le ideologie che
salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante
della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero… il volgersi senza riserve
a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai
potrebbe salvarci se non l’amore?»9. L’amore si compiace della verità, è la forza che rende
capaci di impegnarsi per la verità, per la giustizia, per la pace, perché tutto copre, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,1-13).
Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo
scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di
affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e
dedizione. Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di
felicità, di verità, di bellezza e di amore vero! Vivete intensamente questa stagione della vita
così ricca e piena di entusiasmo.
Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete
quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un
futuro migliore e vi impegnate a costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non
chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non
siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha
di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è
la giustizia e la pace.
A voi tutti, uomini e donne che avete a cuore la causa della pace! La pace non è un
bene già raggiunto, ma una meta a cui tutti e ciascuno dobbiamo aspirare. Guardiamo con
maggiore speranza al futuro, incoraggiamoci a vicenda nel nostro cammino, lavoriamo per
dare al nostro mondo un volto più umano e fraterno, e sentiamoci uniti nella responsabilità
verso le giovani generazioni presenti e future, in particolare nell’educarle ad essere pacifiche
e artefici di pace.
È sulla base di tale consapevolezza che vi invio queste riflessioni e vi rivolgo il mio
appello: uniamo le nostre forze, spirituali, morali e materiali, per «educare i giovani alla
giustizia e alla pace».