martedì 5 febbraio 2013

I SUMERI E LA VITA QUOTIDIANA



 
Gli archeologi della Sapienza, tornati in Iraq per la seconda campagna di scavo nel sito di Abu Tbeirah, vicino a Nasiriya, hanno riportato alla luce molti reperti che per la prima volta documentano la vita quotidiana del mondo sumerico e che attestano sorprendenti analogie con pratiche ancora correntemente in uso presso gli abitanti della zona.
Il periodo indagato è quello dell’avvento in Mesopotamia della prima dinastia a vocazione imperiale nota nella storia dell’umanità, fondata dal sovrano Sargon e incentrata sulla sua capitale Akkad: siamo all’incirca tra il 2400 e il 2200 a.C, un’epoca a tutt’oggi poco nota.
“Reperti che raccontino la vita del tempo erano praticamente inesistenti, - spiega l’assirologo della Sapienza Franco D’Agostino, che dirige la Missione – “per il semplice fatto che le campagne di scavo che ci hanno preceduto risalivano agli anni ’60, quando i sistemi di datazione e le tecnologie applicate alla ricerca archeologica erano di tutt’altra precisione rispetto a oggi”.
Una delle sorprese più interessanti dal punto di vista archeologico è rappresentata dal rinvenimento di una stuoia di 4200 anni fa, ancora perfettamente conservata: risultano miracolosamente ancora visibili sia la trama delle canne intrecciate che i fori praticati per ospitare i pali che reggevano la copertura, molto probabilmente anch’essa fatta di canne. Il metodo per realizzare la stuoia è lo stesso usato oggi nelle Marshlands, cioè le paludi a sud dell’Iraq, dove le stuoie vengono utilizzate sia come copertura, sia come pavimentazione all’interno dei Mudhif, le case costruite con fasci di canne. Un altro reperto di notevole interesse è un piatto all’interno del quale erano ancora perfettamente visibili le lische del pesce che vi era stato mangiato: ancora oggi le grandi carpe dei due fiumi, Tigri ed Eufrate, vengono cotte alla stessa maniera come il ritrovamento sta a dimostrare.
I rilevamenti satellitari hanno evidenziato un’altura artificiale, accentuato rispetto al pianoro circostante, esteso per circa 43 ettari che lascia intuire come il sito ospitasse una città – tutta ancora da identificare – attraversata da canali e dotata di porti fluviali; è stato poi individuato sempre grazie al satellite il muro perimetrale di un grande edificio nella parte sud-est dell’area, dove sono stati portati alla luce i reperti principali, comprese delle sepolture assai significative per i ricchi corredi funerari. In particolare in una tomba sono stati portati alla luce due individui, uno dei quali completamente disarticolato e posto sui piedi del primo (foto 7-9): gli accertamenti condotti dell’antropologo fisico in staff alla Missione, Mary Ann Tafuri, hanno stabilito una chiara parentela tra i due inumati, che presentavano entrambi una malformazione genetica: una vera e propria tomba di famiglia.
L’attività della Missione è finanziata grazie ai fondi che la Sapienza destina ai Grandi Scavi di Ateneo. Allo stesso modo il Ministero degli Affari Esteri ha voluto sottolineare l’importanza di questa iniziativa archeologico-culturale attribuendo fondi per l’attività di scavo mediante il settore culturale, e finanziando, con fondi della Cooperazione allo Sviluppo, attraverso l’Ambasciata d’Italia a Baghdad, una serie di corsi finalizzati alla formazione di personale nel settore dell’archeologia destinati alle nuove generazioni dell’Iraq.
Info:
Franco D’Agostino, Istituto di Studi orientali
T (+39) 064456644 M (+39) 3280342377
e-mail: franco.dagostino@gmail.com


E l'articolo apparso sul Corriere della Sera:

http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/13_febbraio_04/iraq-mesopotamia-sumeri-missione-archeologia-la-sapienza_9341eca2-6ed0-11e2-8e9f-4060dbd697f2.shtml


Uno schema per capire la vita quotidiana dei Sumeri
 



Alcune immagini dei lavori di ricerca sul campo


 
 

 

lunedì 4 febbraio 2013

23° esame fatto!

Cari amici ed amiche,
con il 23° esame sostenuto stamane ho concluso la sessione invernale di esami.
La materia in questione è stata la "lettera agli Ebrei".
Ecco la sintesi.

La lettera agli Ebrei, sebbene apprezzata fin dall’antichità per lo stile forbito e la caratteristica cristologia che la distingue fra gli scritti neotestamentari, oggi è spesso lasciata da parte per le difficoltà che presenta per le inusuali categorie cultuali e il continuo riferimento all’Antico Testamento. Ci proponiamo di far apprezzare questo scritto neotestamentario, presentandone l’idea fondamentale: Gesù, Figlio di Dio solidale con gli uomini con i quali condivide “carne e sangue”, condivide con loro la sofferenza, che è offerta a Dio come sacrificio una volta per sempre. Cristo, unico e vero sacerdote, nei cieli continua a intercedere per i suoi che ancora vivono nella prova.

giovedì 31 gennaio 2013

GIOVANNI BOSCO: un santo ed un educatore straordinario

Uno sguardo sulla figura di questo uomo e santo attraverso la lettera JUVENUM PATRIS di Papa Giovanni Paolo II:
 
La sua acuta intelligenza, il suo senso comune e la sua profonda spiritualità lo guidarono a creare un sistema di educazione che sviluppa tutta la persona – corpo, cuore, mente e spirito. Esso favorisce la crescita e la libertà, mentre mette il ragazzo proprio al centro di tutta l’opera educativa.

Per distinguere il suo metodo dal sistema repressivo di educazione, prevalente nel 19° secolo in Italia, egli ha chiamato il proprio metodo sistema preventivo – perché esso cerca il modo di prevenire la necessità della punizione, collocando il ragazzo in un ambiente in cui egli è incoraggiato a dare il meglio di sé. Questo è un approccio congeniale, amichevole, integrale all’educazione.

Esso crea un clima che ‘trae fuori’ (educere) il meglio dal ragazzo, che incoraggia la sua completa e piena espressione di sé, che aiuta il ragazzo ad acquisire atteggiamenti che lo guidino a scegliere ciò che è buono, sano, gioioso e fa crescere la vita.

 

Il termine "ragione" sottolinea, secondo l'autentica visione dell'umanesimo cristiano, il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro, del vivere sociale, ossia di quel vasto quadro di valori che è come il necessario corredo dell'uomo nella sua vita familiare, civile e politica. Nell'enciclica Redemptor Hominis ho ricordato che "Gesù Cristo è la via principale della Chiesa; questa via conduce da Cristo all'uomo".

È significativo rilevare che già più di cento anni fa Don Bosco attribuiva molta importanza agli aspetti umani e alla condizione storica del soggetto: alla sua libertà, alla sua preparazione alla vita e ad una professione, all'assunzione delle responsabilità civili, in un clima di gioia e di generoso impegno verso il prossimo. Egli esprimeva questi obiettivi con parole incisive e semplici, quali "allegria", "studio", "pietà", "saggezza", "lavoro", "umanità". Il suo ideale educativo è caratterizzato da moderazione e realismo. Nella sua proposta pedagogica c'è una unione ben riuscita tra la permanenza dell'essenziale e la contingenza dello storico, tra il tradizionale e il nuovo. Il Santo presenta ai giovani un programma semplice e allo stesso tempo impegnativo, sintetizzato in una formula felice e suggestiva: onesto cittadino, perché buon cristiano.

In sintesi la ragione, a cui Don Bosco crede come dono di Dio e come compito inderogabile dell'educatore, indica i valori del bene, nonché gli obiettivi da perseguire, i mezzi e i modi da usare. La ragione invita i giovani ad un rapporto di partecipazione ai valori compresi e condivisi. Egli la definisce anche ragionevolezza per quel necessario spazio di comprensione, di dialogo e di pazienza inalterabile in cui trova attuazione il non facile esercizio della razionalità.

Tutto questo, certo, suppone oggi la visione di un'antropologia aggiornata e integrale, libera da riduzionismi ideologici. L'educatore moderno deve saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti che attraggono i giovani: la pace, la libertà, la giustizia, la comunione e la partecipazione, la promozione della donna, la solidarietà, lo sviluppo, le urgenze ecologiche.

(Giovanni Paolo II, Lettera Juvenum Patris, 10)

 

Il secondo termine, "religione", indica che la pedagogia di Don Bosco è costitutivamente trascendente, in quanto l'obiettivo educativo ultimo che egli si propone è la formazione del credente. Per lui l'uomo formato e maturo è il cittadino che ha fede, che mette al centro della sua vita l'ideale dell'uomo nuovo proclamato da Gesù Cristo e che è coraggioso testimone delle proprie convinzione religiose.

Non si tratta - come si vede - di una religione speculativa e astratta, ma di una fede viva, radicata nella realtà, fatta di presenza e di comunione, di ascolto e di docilità alla grazia. Come egli amava dire, "colonne dell'edificio educativo" sono l'Eucaristia, la Penitenza, la devozione alla Madonna, l'amore alla Chiesa e ai suoi pastori. La sua educazione è un "itinerario" di preghiera, di liturgia, di vita sacramentale, di direzione spirituale: per alcuni, risposta alla vocazione di speciale consacrazione (quanti   Sacerdoti  e  Religiosi   si  formano nelle case del Santo!); per tutti, la prospettiva e il conseguimento della santità.

Don Bosco è il prete zelante che riferisce sempre al fondamento rivelato tutto ciò che riceve, vive e dona. Questo aspetto della trascendenza religiosa, caposaldo del metodo pedagogico di Don Bosco, non solo è applicabile a tutte le culture, ma è adattabile con frutto anche alle religioni non cristiane.

(Giovanni Paolo II, Lettera Juvenum Patris, 11)
 

Infine, dal punto di vista metodologico, l'"amorevolezza". Si tratta di un atteggiamento quotidiano, che non è semplice amore umano né sola carità soprannaturale. Esso esprime una realtà complessa ed implica disponibilità, sani criteri e comportamenti adeguati. L'amorevolezza si traduce nell'impegno dell'educatore quale persona totalmente dedita al bene degli educandi, presente in mezzo a loro, pronta ad affrontare sacrifici e fatiche nell'adempiere la sua missione. Tutto ciò richiede una vera disponibilità per i giovani, simpatia profonda e capacità di dialogo. È tipica e quanto mai illuminante l'espressione: "Qui con voi mi trovo bene: è proprio la mia vita stare con voi". Con felice intuizione esplicita: quello che importa è che "i giovani non siano solo amati, ma che essi conoscano di essere amati".

Il vero educatore, dunque, partecipa alla vita dei giovani, si interessa ai loro problemi, cerca di rendersi conto di come essi vedono le cose, prende parte alle loro attività sportive e culturali, alle loro conversazioni; come amico maturo e responsabile, prospetta itinerari e mete di bene, è pronto a intervenire per chiarire problemi, per indicare criteri, per correggere con prudenza e amorevole fermezza valutazioni e comportamenti biasimevoli. In questo clima di "presenza pedagogica" l'educatore non è considerato un "superiore", ma un "padre, fratello e amico".

In tale prospettiva vengono privilegiate anzitutto le relazioni personali. Don Bosco ama usare il termine "familiarità" per definire il rapporto corretto tra educatori e giovani. La lunga esperienza lo ha convinto che senza familiarità non si può dimostrare l'amore, e senza tale dimostrazione non può nascere quella confidenza, che è condizione indispensabile per la riuscita dell'azione educativa. Il quadro delle finalità da raggiungere, il programma, gli orientamenti metodologici acquistano concretezza ed efficacia, se improntati a schietto , cioè se vissuti in ambienti sereni, gioiosi, stimolanti.

A questo proposito va almeno ricordato l'ampio spazio e dignità dati dal Santo al momento ricreativo, allo sport, alla musica, al teatro o - come egli amava dire - al cortile. E lì, nella spontaneità ed allegria dei rapporti, che l'educatore sagace coglie modi di intervento, tanto lievi nelle espressioni, quanto efficaci per la continuità e il clima di amicizia in cui si realizzano. L'incontro, per essere educativo, richiede un continuo ed approfondito interesse che porti a conoscere i singoli personalmente ed insieme le componenti di quella condizione culturale che è loro comune.

Si tratta di un'attenzione intelligente e amorosa alle aspirazioni, ai giudizi di valore, ai condizionamenti, alle situazioni di vita, ai modelli ambientali, alle tensioni, rivendicazioni, proposte collettive. Si tratta di percepire l'urgenza della formazione della coscienza, del senso familiare, sociale e politico, della maturazione nell'amore e nella visione cristiana della sessualità, della capacità critica e della giusta duttilità nell'evolversi dell'età e della mentalità, avendo sempre ben chiaro che la giovinezza non è solo un momento di transito, ma un tempo reale di grazia per la costruzione della personalità.
Anche oggi, pur in un mutato contesto culturale e con giovani di religione anche non cristiana, questa caratteristica costituisce una fra le tante istanze valide e originali della pedagogia di Don Bosco.

(Giovanni Paolo II, Lettera Juvenum Patris, 12)

sabato 26 gennaio 2013

ANAXUM-STELLA continua l'avventura archeologica di questo fiume del Friuli Venezia Giulia


Trovato nel fiume Stella relitto di una barca
 
dell’11° secolo

Un unicum a livello nazionale e internazionale per l’archeologia e
per la storia della costruzione navale

Lungo l’affascinante corso del fiume Stella, l’antico Anaxum di Plinio, oasi naturalistica di pregio, nel mese di settembre 2012, nell’ambito dei sondaggi di archeologia preventiva effettuati dalla ditta Archeolab, per conto del Consorzio di Bonifica Bassa Friulana, in occasione di lavori di sistemazione delle sponde del fiume, presso l’abitato di Precenicco, è stato individuato lo scafo di un’imbarcazione in legno.
La prima operazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici del FVG, che ha diretto scientificamente i sondaggi nella persona del funzionario archeologo Marta Novello, è stata quella di definire l’epoca a cui risaliva il relitto. Alcuni campioni lignei sottoposti ad analisi con il carbonio 14 hanno consentito di stabilire che lo scafo appartiene ad un’imbarcazione dell’XI secolo: una scoperta di grande interesse per il mondo dell’archeologia navale. Non esistono, infatti, in Italia, ma in generale nel panorama internazionale, rinvenimenti di altri manufatti di questa tipologia, relativa all’ambito fluviale, risalenti alla piena età medievale: un unicum, dunque.
Lo studio del relitto, a conferma anche dei rapporti sempre più ampi che la Soprintendenza va sviluppando con le Università della regione, è affidato all’Ateneo di Udine ed è coordinato dall’archeologo navale Massimo Capulli, docente presso l’Università di Udine e coordinatore del Progetto Anaxum in cui questa eccezionale scoperta viene ora ad inserirsi.
Le analisi geomorfologiche e sedimentologiche del sito sono state invece effettuate da Alessandro Fontana, geologo del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, ed hanno permesso di stabilire che, all’epoca cui risale il relitto, la sponda del fiume Stella aveva una configurazione abbastanza simile all’attuale, ma con un’area golenale più ampia di quasi 10 metri. Successivamente questa zona è stata rimodellata dall’evoluzione fluviale e soprattutto dall’azione antropica che ne hanno causato il progressivo interramento.
Le successive operazioni di perimetrazione del relitto hanno consentito la definizione delle dimensioni complessive pari a due metri di larghezza per circa dieci di lunghezza, e il suo posizionamento rispetto alla riva antica. In base a questi dati è stato possibile ipotizzare che l’imbarcazione è stata abbandonata lungo la riva del fiume.
Il rinvenimento apre la strada a sviluppi storicamente interessanti: lo Stella fu vitale non solo in epoca romana, ricca di traffici e di commerci, ma anche in un’epoca “buia”, quale quella Medievale.
Lo testimonia anche la “nave di Chiarmacis”, una sinopia, ovvero un semplice disegno preparatorio ad un affresco forse andato distrutto, venuto alla luce durante i lavori di risanamento della chiesetta di S. Andrea di Chiarmacis, situata sempre in prossimità del fiume Stella e per il quale sono ancora in corso studi interpretativi. In questo caso si tratta di una imbarcazione con propulsione sia a vela, con due alberi, sia a remi: sicuramente una nave da guerra, quindi, caratterizzata dalla presenza a poppa ancora dei due governali laterali in luogo del timone unico. Una nave che potrebbe rimandare a quei Cavalieri Teutonici, che proprio a Precenicco avevano una delle loro più importanti comunità, ed ai loro traffici navali verso la Terrasanta.
Dunque una via d’acqua importante quella dello Stella, sempre attiva nei secoli, fin dal neolitico, ricca di storia e di avvenimenti, un luogo magico e silenzioso in cui parla la natura, da difendere e valorizzare quale importante patrimonio antico.
Fonte: www.udine20.it


 

 

 

 

Ecco una ricostruzione del relitto trovato
 
 






 

 

Conclusione del corso di esegesi del Nuovo Testamento: la lettera di Giacomo

Abbiamo concluso in questa settimana il corso di esegesi del Nuovo Testamento, la lettera di Giacomo con il prof. Giovanni Claudio Bottini.


Lettera di Giacomo

Oggetto, scopo e metodologia del corso. Scopo del corso è introdurre all’analisi esegetica di brani scelti della lettera di Giacomo. Particolare attenzione sarà data ai brani dove si ha il fenomeno della intertestualità. Questi i passi metodologici che saranno percorsi: definizione delle sequenze discorsive, traduzione ragionata, critica testuale, osservazioni di critica letteraria, commento.
Requisiti. Conoscenza del greco e familiarità con il testo della Lettera (tutta).
 
 
foto di gruppo al termine del corso

Superato anche il 22°!

Salute a tutti!
Stamane ho superato anche il 22° esame del mio curriculum.
Siano rese grazie al Signore che continua ad elargire i suoi benefici! Ecco, in sintesi, la tematica dell'esame di esegesi dell'Antico Testamento sostenuto con il prof. Pietro Kaswalder.
 
Lettura esegetica di Gs 1-2; 15; 23-24.

Tracce di redazione deuteronomistica e di redazione post-deuteronomistica nel libro di Giosuè.

Introduzione al tema della conquista della terra (Gs 1) e sua conclusione nell’ottica della Storia dtr (Gs 13).

Consegna della terra nell’ottica dell’ideologia di Giuda (Gs 15).

Conclusione del tema della terra nell’ottica di una redazione P post-esilica. (Gs 13 e 24).
 
 
Shabbat Shalom da Gerusalemme!

domenica 20 gennaio 2013

SITUAZIONE IN SIRIA: UN DISASTRO!

La situazione in Siria e, soprattutto per i cristiani, è gravissima. Pubblico il testo di un'intervista in radio Vaticana, da padre Gonzalo Ruiz, mentre sul sito di Radio Vaticana potete trovare anche l'audio:
 
 
Ancora violenza in Siria. Mons. Zenari: è una tragedia quotidiana


In Siria, almeno dieci persone sono rimaste uccise e altre decine ferite in un raid aereo delle forze del regime su un sobborgo di Damasco. Lo riferisce la tv satellitare al-Jazeera. Si continua, dunque, a vivere un clima di violenza come conferma al microfono di Debora Donnini, il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari:
Intanto, l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, torna a chiedere l’intervento della Corte penale internazionale dell'Aja (Cpi), per giudicare i crimini contro l’umanità commessi in questa guerra civile. Richiesta questa che ha ricevuto dure critiche da parte del governo siriano. Secondo l’ultimo bilancio delle Nazioni Unite, si contano complessivamente, dal marzo 2011, 60 mila morti, in media cinquemila al mese. Cecilia Seppia ha chiesto l'opinione di padre Gonzalo Ruiz, vicario generale dell’Istituto del Verbo Incarnato, che in Siria ha diverse missioni:

R. – In queste ultime settimane, l’offensiva è stata molto forte. Anche l’accerchiamento di Aleppo, per esempio, dove si trovano molti dei nostri missionari, si fa sempre più serrato, più duro, i bombardamenti più pesanti, anche sulle zone cristiane della città. La gente è veramente molto delusa, anche se conserva ancora la speranza di ricevere aiuto, che questa guerra sia fermata. Perché si potrebbe davvero fermare la guerra con interventi più decisi.

D. – Difficile la situazione dei cristiani, come diceva lei. I quartieri cristiani di Damasco e di Aleppo vengono costantemente bombardati. E’ così?

R. – Sì, è così. Il più grande quartiere cristiano di Aleppo è stato bombardato soltanto in questi ultimi giorni, quelle bombe esplose tre giorni fa all’Università di Aleppo che confina proprio con il quartiere cristiano… Ci sono molte, molte vittime tra i cristiani – sono stati colpiti i conventi di religiosi e di religiose – e ci sono tanti, tanti feriti. Per due giorni, i nostri sacerdoti non hanno fatto che assistere i feriti, dando l’unzione degli infermi, ascoltando le confessioni e portando un po’ di conforto. Però, insomma, la situazione è molto delicata anche per i cristiani che si sentono sempre meno protetti.

D. – Duramente colpita tutta la popolazione civile. In particolare, ci arrivano notizie veramente drammatiche per quanto riguarda i bambini: 30-40 bambini che muoiono ogni giorno sotto le bombe…

R. – E’ vero che stanno colpendo i centri della vita della città. Colpiscono i mercati, l’università, le scuole e lì è sempre pieno di gente e ci sono anche tanti bambini. Per esempio, una delle bombe che tre giorni fa ha colpito Aleppo è caduta proprio sulla rotatoria di accesso all’Università, in un orario in cui era pieno di gente, di taxi, di bus, di pullman che portano gli studenti, e dunque ha fatto una strage veramente impressionante che ha lasciato anche tanti orfani.

D. – C’è anche l’emergenza profughi: che cosa si può fare per loro, per sostenerli? O cosa state già facendo?
R. – Un altro problema grosso, adesso, è la mancanza di gas e di riscaldamento. Questi giorni sono molto freddi e dunque la gente veramente soffre molto il freddo e anche la fame. Noi stiamo cercando di aiutare i profughi dei quali si dice che ad Aleppo siano quasi un milione. Tramite i nostri sacerdoti, tramite il vescovo latino, mons. Giuseppe Nazzaro, abbiamo aperto un sito web in ci si trova il modo di poter aiutare, che si chiama “SOS cristiani in Siria”. Lì ci sono le notizie che danno i nostri Padri, le nostre suore, ma è indicato anche il modo concreto per aiutare. Nel loro piccolo, sono riusciti ad aprire anche qualche piccola possibilità di lavoro, perché c’è tanto da fare: riescono a dare un piccolo compenso alle persone che hanno famiglie numerose, che sono rimaste senza lavoro, che veramente patiscono la fame. Dunque, qualsiasi aiuto è benvenuto.

sabato 19 gennaio 2013

MUSEO DELLO STUDIUM BIBLICUM - Novità


Bollettino del Museo Archeologico dello
Studium Biblicum Franciscanum
-Novembre - Dicembre 2012-

A cura di Davide Bianchi
Sezione Attualità:

 L’esperienza di Giovanna tra lucerne bizantine e un’armatura persiana
Giovanna Pellizzari, restauratrice di Venezia, ha collaborato nei mesi di novembre e dicembre con il museo dello Studium Biblicum Franciscanum. L’esperta italiana insegna restauro presso l’Istituto Veneto per i Beni Culturali e vanta una pluriennale esperienza nel restauro dei metalli. Tra le opere su cui ha lavorato ci sono i bronzi di Tiziano Aspelli e due candelabri in argento nella Basilica di Sant’Antonio a Padova, la statua di Maria Assunta nella piazza davanti alla Cattedrale di Salisburgo, il monumento di Giuseppe Verdi a Parma e numerosi argenti di collezioni presenti nei palazzi veneziani. A Gerusalemme si è occupata della pulitura e del restauro di numerosi oggetti metallici presenti nelle collezioni del museo. Particolarmente interessanti i risultati ottenuti sulle numerose lucerne bronzee del primo periodo bizantino e la pulitura di un’armatura metallica. Lo scudo e l’elmo di questa presentano iscrizioni a rilievo impreziosite dall’argento e decorazioni che coprono la superficie degli oggetti. L’armatura è stata inizialmente interpretata come una barbuta arabo-saracena per via della foggia estetica. Un’analisi più approfondita ha permesso di comprendere che le iscrizioni presenti sullo scudo e sull’elmo, riferite ad una sura del Corano, sono state realizzate in lingua persiana.
 
Sezione Attività Scientifica:
L’esperienza di Francesco tra scavo archeologico e ricerca scientifica
Durante lo studio dei pezzi di produzione egea e cipriota, svolto per la tesi di laurea magistrale in Archeologia all’Università degli studi di Firenze, Francesco Pollastri si è reso conto che lo studio dell’intero assemblage dei materiali provenienti dal sepolcreto cananeo del Dominus Flevit avrebbe fornito una serie di risposte ad integrazione delle prime ricerche di padre Saller. I materiali, conservati presso il museo dello Studium Biblicum, furono portati alla luce dallo stesso Saller tra l’estate e l’autunno del 1954. All’epoca l’approccio allo scavo archeologico era diverso; non si era soliti, infatti, prendere in considerazione l’utilità delle scienze sussidiarie all’archeologia, quali la palinologia, le indagini petrografiche e la Neutron Activation Analysis.
Il sepolcreto del Dominus Flevit fu utilizzato per circa quattro secoli, tra la prima metà del XVI e la fine del XIII sec. a.C.; i defunti che vi furono deposti appartenevano all’aristocrazia di Gerusalemme. Il Museo Archeologico custodisce il più corposo e importante nucleo di materiali da scavo che testimonino e documentino la vita della Gerusalemme del Medio e Tardo Bronzo. Oggi sarebbe possibile distinguere i periodi di deposizione, e probabilmente i singoli corredi deposti nel sepolcreto del Dominus Flevit, grazie alla rilettura dei dati provenienti dagli scavi effettuati nel Vicino Oriente, a Cipro e nell’Egeo.
Il lavoro svolto da Francesco tra settembre e ottobre, agevolato e sostenuto dalla disponibilità del suo direttore, padre Eugenio Alliata ofm, è servito per sviluppare questo studio e impostare un progetto di ricerca inviato all’INSTAP (Institute for Aegean Prehistory), per la richiesta di fondi da destinare a tale scopo.
La nuova Guida del Pellegrino, dedicata al Monte degli Ulivi
Dall’inizio del mese di Novembre, una nuova volontaria, Angela Ricci, sta collaborando con ATS pro terra sancta nell’ambito del progetto “Getsemani: conservare il passato e formare il futuro” realizzato grazie alla collaborazione tra il Consolato Italiano, attraverso il PMSP (Programma di Sostegno alle Municipalità in Palestina), e il Mosaic Center di Gerico.
La competenza, la passione e l’interesse per Gerusalemme e per il medioriente, unite ad una pluriennale esperienza nel lavoro di editing in diverse case editrici italiane hanno spinto Angela ad avventurarsi nel recupero dei testi e di altro materiale utile per la realizzazione della nuova Guida del Pellegrino, dedicata alla visita dei santuari sul Monte degli Ulivi.
Questo monte è oggetto di grande interesse storico e archeologico e riveste una particolare importanza per i cristiani che si recano in visita a Gerusalemme.
Si è reso necessario, quindi, impegnarsi per la creazione di uno strumento utile e pratico, realizzato in collaborazione con ETS, Edizioni di Terra Santa, che pubblicheranno il lavoro. La guida sarà dedicata ai pellegrini e ai visitatori di questo luogo, meta unica per la preghiera e il ricordo di uno dei momenti più importanti per la redenzione e la salvezza dell’uomo: l'inizio della Passione di Cristo.

giovedì 10 gennaio 2013

NEVE A GERUSALEMME 5 - RESOCONTO FINALE

Carissimi amici ed amiche,
 
è stata sicuramente un'esperienza indimenticabile e straordinaria. La neve caduta da ieri sera sulla Santa Città di Gerusalemme ci ha riempito il cuore di immagini bellissime. La Città della Pace si è mostrata nel modo più bello possibile: giochi, palle di neve, foto, silenzio ed ascolto, qualche sirena per i soccorsi...
 
Viene da pensare alla profezia di Isaia:


Isaia 55
1 O voi tutti assetati venite all'acqua,
chi non ha denaro venga ugualmente;
comprate e mangiate senza denaro
e, senza spesa, vino e latte.
2 Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro patrimonio per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
3 Porgete l'orecchio e venite a me,
ascoltate e voi vivrete.
Io stabilirò per voi un'alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.
4 Ecco l'ho costituito testimonio fra i popoli,
principe e sovrano sulle nazioni.
5 Ecco tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te popoli che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo di Israele, perché egli ti ha onorato.
6 Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
7 L'empio abbandoni la sua via
e l'uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
8 Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore.
9 Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.

10 Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
11 così sarà della parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata.

12 Voi dunque partirete con gioia,
sarete condotti in pace.
I monti e i colli davanti a voi
eromperanno in grida di gioia
e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani.
13 Invece di spine cresceranno cipressi,
invece di ortiche cresceranno mirti;
ciò sarà a gloria del Signore,
un segno eterno che non scomparirà.
ED ECCO UN REPORTAGE FOTOGRAFICO DI QUESTE MERAVIGLIE DI GERUSALEMME

La neve caduta durante la notte del 9 gennaio
circa 10 cm.

 
Passi sulla neve al mattino


La quiete prima della seconda nevicata


La nevicata del mattino alle ore 9
 
Alcuni di ci provano...ma la neve vince!
 
 
Iniziano le battaglie a palle di neve
 
 
Questa me la tengo io!
Vista verso il monte Sion
 


 
Vista sulla città dal santuario Dominus Flevit
 
 
 
La porta di Damasco



 
Panoramica verso il monte degli Ulivi
 
 
 

NEVE A GERUSALEMME 4

 
AL SANTUARIO DEL DOMINUS FLEVIT ALLE ORE 11
 

NEVE A GERUSALEMME 3

 
ALLA PORTA DI GIAFFA ALLE ORE 10
 

NEVE A GERUSALEMME 2

ECCOVI IL PROSEGUO DELLA NEVICATA ALLE ORE 9.15 DEL 10.1.2013
 

NEVE A GERUSALEMME

 
NEVE A GERUSALEMME IL 10 GENNAIO 2013
 

mercoledì 9 gennaio 2013

Segnalazione sui "Magi"


Magi, dalla Persia sfida all’impero
 

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Didascalia immagin

ContenI magi venivano dall’Iran, forse portarono solo profumi e non oro, fecero paura ad Erode e soprattutto erano nemici dei Romani... La sintesi sarà brutale, e di sicuro non rende ragione all’accuratezza dell’analisi esposta nell’originale, però è efficace. E si può anche crederle, se la teoria è avanzata da un iranista professore all’università di Bologna, specialista in lingue e religioni dell’Iran preislamico nonché autore di vari studi sulla diffusione del cristianesimo in Asia centrale. Per questo il libro di Antonio Panaino I Magi e la loro stella (San Paolo, pp. 228, euro 17) si staglia con caratteri di affidabilità ma anche originalità rispetto ad altri studi non meno divulgativi usciti negli ultimi anni sul medesimo tema. Vediamone alcuni.

I magi contro Roma
Che cosa poteva pensare un uomo mediorientale del I secolo d.C. leggendo nel Vangelo di Matteo (l’unico che riporti l’episodio) la vicenda dei magoi, i nostri "magi"? L’associazione più normale era quella con l’impero persiano, dove i magi costituivano il collegio sacerdotale massimo, una casta liturgica, forse addirittura una tribù "sacra" come quella ebraica di Levi. Per gli ebrei poi i persiani, soprattutto grazie al re Ciro che li liberò dalla prigionia mesopotamica, erano alleati e amici da secoli; la Bibbia attribuisce a quel sovrano il titolo addirittura di "messia" e i semiti godevano di ottimo status in Iran. Per di più i Parti, successori dei Persiani, in quel I secolo apparivano l’unica forza in grado di contrastare gli odiati Romani. Il messaggio di Matteo è dunque chiaro: come Ciro aveva liberato gli ebrei dalla schiavitù, così il Messia bambino (certificato dai sacerdoti del primo, appunto i magi) avrebbe salvato di nuovo il suo popolo. Chiarisce meglio Panaino: «All’epoca della composizione del Vangelo di Matteo, menzionare i magi significava per un pubblico ebraico relativamente ben informato evocare nel contempo il clero del mondo iranico, a partire da Ciro il Grande, unto del Signore, liberatore degli ebrei e ricostruttore del Tempio, sino a quello degli amici Parti, protettori della comunità ebraica di Babilonia e nemici dei Romani». Ma si tratta anche di un testo "missionario": nel brano degli Atti degli Apostoli che descrive la discesa dello Spirito Santo i primi citati sono diversi popoli della zona iranica, e precisamente «Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia»... In effetti la prima comunità cristiana trovò terreno molto fertile in quella zona. «Il contesto in cui viene descritta la Pentecoste - nota Panaino - induce a pensare che ai primi evangelizzatori non fosse affatto sgradito avere a disposizione un messaggio speciale da usare in ambito iranico».

Erode in versione "buonista"?
Tutti conoscono il caratteraccio del sovrano, la sua ferocia e spietatezza. Però meno noto è il fatto che Erode fu grande nemico dei Parti, dovette rifugiarsi a Roma per sfuggire alla loro invasione e - quando tornò - divenne re di Giudea solo dopo averli sconfitti in alleanza coi Romani nel 37 a.C. Che cosa dunque doveva pensare quel sovrano - sottolinea Panaino - vedendosi arrivare fin sotto Gerusalemme una delegazione di magi iranici, ovvero emissari dei suoi peggiori nemici, e per di più annunzianti la venuta di un altro re? Come minimo avrebbe dovuto imprigionarli... Ma qui non interessa tanto la plausibilità storica dell’evento, bensì il suo significato simbolico: non è Erode, né sono i Parti, i veri sovrani a cui prostrarsi. Lo dichiarano col loro comportamento i magi stessi, esponenti di «uno dei pochissimi popoli - quello iranico - in attesa di un salvatore/rinnovatore del mondo (il cosiddetto Saosyant, figlio di una vergine, risuscitatore dei morti»; dunque «a un lettore accorto sarebbe venuto spontaneo supporre che i magi fossero venuti a Betlemme non solo perché esperti di cose celesti, ma perché da secoli in attesa del loro Salvatore».

L’oro svalutato?
Coloro che avrebbero sempre desiderato sapere che uso fece mai la Sacra Famiglia dell’oro ricevuto dai magi, avranno la loro soddisfazione: forse non era proprio metallo prezioso il dono che i messaggeri orientali portarono a Betlemme. Infatti il termine semitico che lo designa è lo stesso che indica anche il profumo: ipotesi che sarebbe assai più consonante con la tipologia merceologica degli altri due regali, incenso e mirra.


Il «miracolo» della stella
A parte la difficoltà di capire quale fosse il fenomeno celeste a cui si riferisce Matteo (per Panaino sono inverosimili le ipotesi cometa e supernova, ma anche quella oggi più accreditata, ovvero la congiunzione astrale), va sottolineato l’imbarazzo che un evento del genere suscitava nella cultura antica. Sotto due aspetti: anzitutto il sorgere della stella nella mentalità orientale (all’opposto di quella greco-romana) indicava un avvenimento nefasto o demoniaco, ma soprattutto il fatto di dar credito ai segni dello zodiaco era molto compromettente dal punto di vista cristiano. Non per nulla i Padri della Chiesa faranno a gara per confutare chi - sulla scorta dell’episodio dei magi - avrebbe potuto concludere che «l’astrologia fosse uno strumento efficace e veritiero di conoscenza, per giunta legittimato anche dalla nuova fede». Piero Crisologo, Leone Magno, Giovanni Crisostomo e lo stesso Agostino affrontarono varie volte il tema, all’epoca molto sentito, scegliendo per lo più l’interpretazione opposta alla scientifica attuale: la stella di Betlemme era cioè un evento celeste eccezionale, un "miracolo" e non una normale manifestazione astronomica, se non addirittura qualcosa di simbolico che soltanto i magi potevano vedere.

L’esigenza odierna di storicizzazione del Vangelo non era affatto prioritaria, anzi: «Ai moderni interpreti, così concentrati nella risoluzione di arcani astronomici, la complessità storico-religiosa sfugge completamente a vantaggio di un interesse per aspetti sostanzialmente esteriori».

 
Roberto Beretta
Da www.avvenire.it

giovedì 3 gennaio 2013

SIRIA, RISCHI PER I SITI ARCHEOLOGICI


Siria, a rischio il Crac dei Cavalieri

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ContenutSecondo l’Unesco, che lo ha inserito nella lista dei siti Patrimonio mondiale dell’umanità nel 2006, si tratta di uno dei più fulgidi esempi di architettura militare crociata e può essere considerato «l’archetipo del castello medioevale» realizzato dai cosiddetti «monaci guerrieri», gli ordini religiosi cavallereschi, nati per difendere i Luoghi Santi e per assistere i pellegrini in viaggio verso Gerusalemme. Proprio ai Cavalieri dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme è legata la storia del Crac dei Cavalieri, il castello crociato più bello e meglio conservato del Vicino Oriente. Un monumento che, nel gorgo della tragedia siriana, rischia di finire stritolato dalla lotta tra le fazioni in campo. E di avere in sorte quella distruzione alla quale è scampato in mille anni di terremoti, rivolgimenti politici e di battaglie.

Le notizie che arrivano dalla regione di Homs, una delle più martoriate della Siria, raccontano infatti che il castello, nelle mani degli insorti contro il regime di Assad, è al centro di aspri combattimenti. Da una parte l’esercito leale al rais di Damasco, che sferra attacchi contro la fortezza, dall’altro le fazioni ribelli, che dall’alto delle mura fortificate sparano senza sosta colpi di mortaio sui villaggi sottostanti: una quarantina di comunità, per un totale di oltre 150 mila abitanti. «Obiettivo dei ribelli - riferiva l’agenzia Fides qualche settimana fa - sono le barricate realizzate dall’esercito siriano». Ma a perire sono soprattutto civili, moltissimi dei quali cristiani, «in un cruento braccio di ferro dove le vittime non sono altro che "danni collaterali" di cui nessuno dei combattenti si preoccupa».


Nella regione che collega la Siria interna al mare la conquista del Crac dei Cavalieri, oggi come nel Medioevo, sembra ancora poter spostare - così almeno credono le forze in campo - le sorti della battaglia.
Edificato sulla collina di Kalakh nel 1031 dalle milizie curde dell’emiro di Aleppo, con il compito di difendere i territori interni dalle invasioni provenienti dal mare, la fortezza sorge in una posizione strategica. Anticamente era considerato l’invalicabile baluardo a sorveglianza del Passo di Homs, lo sbocco settentrionale della Beqaa, fra il Monte Libano e la catena montuosa dell’Antilibano, che collega la Siria interna con la città rivierasca di Tortosa (oggi Tartus).

Le prime incursioni contro la Fortezza dei curdi da parte dei crociati risalgono alla prima crociata, nel 1099. Ma le fonti riportano la data della conquista del Crac (il nome deriva da un termine aramaico che significa "città") attorno al 1110. Il castello fu poi donato nel 1144 da Raimondo II di Tripoli ai Cavalieri dell’Ospedale che da allora lo presidiarono, per circa 127 anni, difendendolo dalle incursioni musulmane. Fino alla riconquista, nell’inverno del 1271, da parte del sultano mamelucco d’Egitto Malik al-Zahir Baybars, che assediò il maniero per oltre un mese fino alla resa dei monaci guerrieri.


Il castello che l’umanità ora rischia di perdere, poteva ospitare fino a 2 mila tra soldati e cavalieri. Due le cinte murarie: quella esterna, con imponenti torri cilindriche, separata da un fossato: quella interna, che cinge la rocca vera e propria, a cui si accede da una porta fortificata che conduce al grande cortile interno. Vari gli ambienti al servizio degli antichi residente del castello: la Sala dei Pilastri, un ampio ambiente a volta sostenuto da grandi pilastri rettangolari, che fungeva da refettorio; la Loggia, con iscrizioni in francese e in latino sopra l’arco, che dava accesso alla sala capitolare dei monaci; la Cappella, trasformata in moschea dopo la conquista araba.

La parte più affascinante è però quella superiore, dove sorge il possente maschio. Seguendo il camminamento sulle mura interne si arriva alla Ridotta, formata da tre possenti torrioni. Nella prima risiedeva il priore e venivano accolti gli ospiti. La seconda, chiamata Torre di Monfret, era la meglio difesa, l’ultimo baluardo in caso di attacco. Il terzo corpo, il più imponente, ospitava macchine da guerra come mangani e catapulte.

Oggi, a dar credito alle notizie e alle immagini che giungono da quelle zone, nuvole di denso fumo nero si levano attorno alle mura. Nelle ore finali del 2012, quando Homs è squassata dai massacri, la vicina Aleppo continua ad essere teatro di battaglia (ribelli e lealisti combattono per il controllo dell’aeroporto militare) e il numero delle vittime, secondo alcune stime, sarebbe ormai di 100 mila, il Crac dei Cavalieri è ormai l’ennesimo simbolo di un conflitto che sta producendo solo macerie e che non rispetta né gli uomini né la storia.


Giuseppe Caffulli
in www.avvenire.it