lunedì 16 dicembre 2013

GERUSALEMME...IL RACCONTO DI UN COMPAGNO DI CAMMINO



Rinascere a Gerusalemme

di Gianni Criveller

Sei mesi sabbatici nella terra di Gesù per ritrovarsi al centro della “geografia della salvezza”. E aprire gli occhi sul passato e sull’attualità. Il racconto di padre Criveller.
Al cardinale Martini, che aveva fatto di Gerusalemme il luogo del cuore della sua vita, mi sono ispirato nei sei mesi (da febbraio ad agosto) trascorsi lì: sei indimenticabili mesi, che avrei voluto non si fossero conclusi. Proprio dal cardinale Martini prendo in prestito alcuni pensieri per scrivere queste righe sulla mia esperienza. Negli ultimi tempi si era fatto in me più urgente il bisogno di un tempo qualitativo nella terra di Gesù. Come Martini, molte persone - pellegrini, soldati, peccatori e santi - lungo la storia hanno desiderato visitare Gerusalemme e la Terrasanta. Tra essi Francesco d'Assisi, Ignazio di Loyola, Charles de Foucauld. Credo che questo desiderio, o nostalgia per quei "luoghi santi", sia dentro il cuore di tanti discepoli di Cristo. Vivere nei luoghi di Gesù e dei suoi apostoli ci inserisce in una dimensione tutta speciale dell'esperienza cristiana. Se c'è una «storia della salvezza» - mi ha detto il custode di Terrasanta Pierbattista  Pizzaballa - c'è anche una «geografia della salvezza». Gerusalemme è al centro di entrambe. Un giorno padre Martini, allora studente, nel corso di una visita archeologica, rischiò seriamente di morire cadendo in un pozzo. Nel momento del pericolo ebbe un pensiero: «Come è bello morire qui in Terrasanta!». E quando venne salvato, ebbe un'altra intuizione molto forte: «Ciascuno è nato a Gerusalemme». In un senso molto importante la Gerusalemme terrena è la patria dei cristiani, dei credenti nella Gerusalemme celeste, degli uomini di buona volontà che desiderano la pace. Quando mi recavo al Muro occidentale, luogo di preghiera degli ebrei, a ridosso della spianata del Tempio dove si trova il luogo santo dei musulmani, a pochi minuti dal Santo sepolcro e da altri luoghi sacri per i cristiani, recitavo le bellissime strofe del salmo 122: «Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore. E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme! (...) Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi». Gerusalemme sembra avere una relazione speciale con la pace e con il mondo, come se non ci fosse pace nel mondo finché questa non sia vissuta a Gerusalemme. Anche il "sindaco santo di Firenze", Giorgio La Pira, aveva questa convinzione e si impegnò con tutte le sue forze per la pace in Terrasanta, tra i popoli e le religioni. Ma ancora oggi le religioni falliscono questo compito: Gerusalemme è tuttora il luogo dove le ideologie religiose, spesso estreme, vivono una accanto all'altra, non per il dialogo e la costruzione della pace, ma per contrapporsi l'una all'altra, ognuna per affermare le proprie prerogative e consolidare i propri spazi. Qui, ancora oggi, ebrei, cristiani e musulmani lottano, e perciò la città della pace non è la città dell'ecumenismo e del dialogo religioso, bensì la città del conflitto e dell'odio. Qui si concentra la discordia del mondo intero. Gerusalemme è una città difficile, brusca, che ti sfida ma che può, se lo desidera, conquistarti. In una delle "Conversazioni notturne a Gerusalemme" - di cui parlo più avanti -, il rabbino Adin Steinzaltz ci ha detto che nessuno sceglie Gerusalemme, ma che è essa a scegliere chi accogliere e chi respingere. Bisogna restare qui per un po', sfidando il senso di estraneità, di solitudine, di confusione per rendersi conto se, alla fine, questo luogo affascinante e difficoltoso decide di accettarti, permettendoti di introdurti, sia pure temporaneamente e quasi furtivamente, nella sua vicenda millenaria e straordinaria. A Gerusalemme Dio tocca il mondo. Ed essa non si comprende senza la sua vocazione di essere figura, anticipo della Gerusalemme celeste. «Essa è il nostro futuro - scrive il cardinal Martini -, qui le grandi e piccole cose assumono una dinamica divina. È un'immagine della fede, con tutte le difficoltà, ma anche della speranza. Qui continuiamo a sentire che lavorare per la pace è un processo doloroso. Ma anche che la speranza è più forte dei fallimenti».

Ho accolto ciò che la città offre a chi desidera riprendere in mano la Scrittura nei luoghi in cui è stata vissuta e scritta: i corsi e le escursioni bibliche dello Studium Biblicum (molto suggestivi i tre giorni nel deserto del Neghev); la partecipazione ai solenni momenti liturgici della quaresima e del tempo pasquale; la frequentazione regolare della basilica del Santo sepolcro, fino a farne un luogo familiare e affettivo. Mi piaceva andarvi soprattutto la sera, quando la folla dei pellegrini è diradata e ci sono calma, silenzio e suggestione dentro e fuori la storica basilica. Ispirato dalla lettura di Etty Hillesum, Edith Stein e altre scrittrici ebree, ho preso parte ad un seminario sulla Shoah, organizzato dal centro studi dello Yad Vashem, il museo dell'Olocausto. Venti giorni per 140 ore di lezione, a cui hanno partecipato quaranta studiosi da varie parti del mondo, impegnati come insegnanti, educatori e direttori di musei, a promuovere la conoscenza della Shoah e di altri genocidi. Ho potuto così immergermi in una specifica realtà del mondo ebraico. È stata un'esperienza complessa e difficile: il contenuto straziante delle lezioni; l'incontro con i superstiti; la visione di immagini oltremodo dolorose; le drammatiche questioni esistenziali, di fede e di teologia sollevate lasciavano spesso senza fiato me e i miei pur preparati compagni di corso. Per me - prete cattolico - è stato umiliante, ma comunque salutare, essere esposto in modo esplicito e senza alcuna riserva, alla responsabilità di persone cristiane e di uomini di chiesa. Pregiudizi largamente condivisi da cristiani per lunghi secoli hanno influito sull'emergere dell'odio antigiudaico. Molto doloroso è stato visitare i luoghi dove oggi si consuma il dramma del popolo palestinese, obbligato dal "muro di divisione e annessione" ad una serie quotidiana e drammatica di difficoltà e umiliazioni. Alcune suore bravissime ogni venerdì guidano, con coraggio, la preghiera del rosario lungo la sezione di Betlemme di questo muro. I volontari italiani dell'Operazione Colomba, che vivono in condizioni davvero essenziali, nel villaggio di At Tuwani, sulle colline semidesertiche non lontano da Hebron, sono impegnati quotidianamente a garantire a bambini e pastori palestinesi la fruizione del diritto alla scuola e alla propria terra. Proprio in questo remoto villaggio abbiamo conosciuto la speranza, generata dalla fattiva sperimentazione della non violenza come scelta di vita e di lotta.

Con Elisa e Lena, due giovani donne incontrate a Gerusalemme - la prima un architetto impegnata con la Custodia di Terrasanta, la seconda una studentessa in Sacra Scrittura -, abbiamo dato vita alle "Conversazioni notturne a Gerusalemme". Chiaramente ispirata al cardinal Martini, questa iniziativa ci ha permesso di incontrare persone autorevoli, di varia estrazione religiosa e culturale, che ci hanno aperto le loro porte per comprendere più a fondo la città. Preparare e vivere questi incontri, molto ben partecipati e sempre veramente interessanti, è stato un grande dono, e l'opportunità di creare una bella rete di rapporti, permettendomi di conoscere e dialogare con quella realtà. Questa iniziativa continuerà, e ciò costituisce per me un motivo di soddisfazione: un seme gettato potrà crescere e fare del bene ad altri. Ho voluto lasciare Gerusalemme celebrando al mattino presto presso il Santo sepolcro, con alcuni amici diventati compagni di strada. Lasciare Gerusalemme dopo sei mesi indimenticabili era già abbastanza toccante per me. Per di più, poche ore prima, avevo ricevuto la notizia della morte improvvisa di Roberto, papà di due bambini, uno dei miei migliori amici. Un'amicizia lunga 41 anni, iniziata nei campi del seminario di Treviso. Morte e vita, e il loro misterioso e tragico intreccio, e tanti altri pensieri affollavano quella mattina la mia mente. Qualche tempo prima avevo letto dell'emozione provata dal cardinal Martini quando, per la prima volta, celebrò la messa al Santo sepolcro. Erano le 4 del mattino di un giorno d'estate nel 1959. Egli raggiunse la minuscola cappella dopo aver attraversato i vicoli deserti della città. In quel momento, come per una folgorazione, gli parve di comprendere qualcosa del mistero della risurrezione di Gesù. Una sensazione fortissima di ciò che significa vita, e dell'anelito dell'umanità e delle religioni. Gli pareva che in quel luogo si concentrassero ogni speranza, certezza e fiducia. La vita che non finisce mai, scoppia, deborda, abbraccia l'universo. Dalla risurrezione - l'affermazione della vita sulla morte - tutto parte, e tutto deve essere compreso e giudicato. Incontrare Gerusalemme è vivere una nuova vita, un nuovo inizio, una grazia, un'appartenenza che è dono dall'alto. MM 

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